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Dove si va?

Periodicamente, i membri del PIME in Bangladesh dedicano un po’ di tempo ad informarsi sulle loro attività. Dalle presentazioni di ciascuno, forse più ancora che dalle decisioni che si prendono volta per volta, emerge una panoramica che fa intuire le “linee di tendenza” della nostra comunità missionaria. Abbiamo dedicato la giornata del 6 aprile 2010 a questo scambio. Mi pare che ci sia un’attenzione sempre più viva alle migrazioni interne di questo Paese, e alla sue conseguenze sociali, spirituali, religiose. Tutta la fascia a nord e ad ovest di Dhaka è punteggiata da piccole iniziative che offrono a operai, operaie, famiglie punti di aggregazione, preghiera, conoscenza reciproca, formazione. Queste attività offrono ad alcuni l’occasione anche per chiedere di entrare nella Chiesa. Si tratta di scelte per lo più individuali, a differenza di quelle che continuano e che seguiamo fra i tribali delle aree rurali, quasi sempre compiute da famiglie e gruppi insieme. Si parla meno che in passato del dialogo e dell’ecumenismo, ma ci sono più tentativi di viverli, non solo in momenti formali e specifici, ma nelle scelte di lavoro e di rapporti ordinari. Sembra che continui a crescere l’impegno nell’educazione, dai bambini piccoli fino agli universitari, cercando di dare più importanza alla formazione professionale, perché anche in Bangladesh ormai è diffuso e penoso il fenomeno dei “colletti bianchi” disoccupati. Giovani che hanno lottato e sofferto per arrivare alla fine del liceo, o del College, e non trovano altro impiego che come guardie notturne, sguatteri, anche tiratori di riksciò. Siamo quasi tutti al lavoro insieme a personale locale; è con loro, più che fra noi, che formiamo la comunità di vita quotidiana. Cresce il consenso sul fatto che vogliamo lavorare per animare missionariamente questa Chiesa anche accogliendo vocazioni per le missioni estere con il PIME. Stentiamo però ad acconsentire sui metodi più efficaci e  più rispettosi della nostra specificità.

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