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Naida

Nove anni circa, viveva fra le baracche di Notun Bazar, a Dhaka, raccattando carta da rivendere per mangiare, mentre il papà sudava sul rikscia. Niente scuola, finché la mamma è entrata nel piccolo laboratorio di cucito  della organizzazione di Dino e Rotna, che dà lavoro alle donne più povere del quartiere, e lei è stata accolta nella scuoletta precaria, affollata ora da oltre 100 bimbe e bimbi che vivevano nelle sue condizioni. Lì ha conosciuto la gioia di imparare a leggere e scrivere, cantare e danzare, stare insieme in pace, e anche di avere ogni giorno un pasto abbondante di riso e verdure. Andata al villaggio per una vacanza di tre giorni, il freddo di febbraio l’ha fatta avvicinare troppo al fuoco e il vestitino s’è incendiato. I bimbi attorno a lei sono scappati urlando, e solo dopo un tempo troppo lungo gli adulti l’hanno raggiunta per spegnerlo. Poche cure dal “medico” di villaggio, troppa la spesa per portarla all’ospedale, finché Dino ha organizzato una colletta e l’ha ricoverata al Medical College di Dhaka in uno stanzone sporco strapieno di ustionati. Tante settimane di cure e sofferenze, ieri sera è morta. Dino me lo ha detto piangendo, e io pensavo a quanti incendi devastano improvvisamente, quasi ogni giorno, le baracche degli slum, incendi casuali o dolosi, per cacciare gli abitanti altrove; a quante Naida ne rimangono coinvolte,  morendo perché non ci sono ambienti di cura adeguati, o non ci sono i soldi.

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