A dire il vero…
Devastata dall’alluvione, la strada per Konnabari è una miriade di buche polverose su cui l’autobus salta come una capra impazzita. L’autista, baffuto e oliato come un attore dei filmastri indiani che affliggono le TV del subcontinente, guida come un criminale in fuga nei filmastri americani che affliggono le TV di tutto il mondo (eccetto Cuba, Nord Corea e Vaticano). Il clacson non si ferma un attimo, è un susseguirsi continuo di rikscio, camion, moto, folle che attraversano la strada fra una fabbrica e un cinema, un incrocio e un mercato. Ho mal di testa, sonno, fame, sete, sono arrabbiato con il mondo intero e non so quanto tempo ci vuole ancora per arrivare.
Candido, il giovanotto che mi siede accanto, usando qualcosa che assomiglia all’inglese attacca con le solite domande: di dove sei, che lavoro fai, quanto guadagni, perché non sei sposato, dammi un lavoro, perché qui sono tutti disonesti, portami in Italia… Poi s’accorge che sto rispondendo in bengalese e passa ai complimenti: “Parli bene! Da quanto tempo sei qui?” – “Complessivamente 8 anni”. “Davvero? Ti piace il Bangladesh?”
Pausa. – “Sì”.
Ormai l’ho detto.
Ed è vero!
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