Africa elettrica
In tutto il continente si sta diffondendo l’utilizzo di mezzi di trasporto elettrici o ibridi. Un modo per contrastare l’inquinamento, ma anche un grande business
É un fenomeno recente, ma per chi frequenta l’Africa è evidente a un rapido colpo d’occhio. Negli ultimi cinque o sei anni il numero di veicoli elettrici nelle grandi metropoli (e non solo in città) è cresciuto in maniera sorprendente. Accompagnato da un grande – e non solo metaforico – respiro di sollievo. Molte città africane, infatti, stanno soffocando dentro una nube di inquinamento che non fa letteralmente respirare e provoca molte malattie respiratorie. Quasi tutti i governi del continente – ma anche tante iniziative private e grandi organizzazioni internazionali – stanno dunque promuovendo una graduale ma piuttosto rapida transizione verso la mobilità elettrica che riguarda tutti i tipi di veicoli, dalle mototaxi ai grandi mezzi di trasporto. Certo, i problemi di produzione e distribuzione dell’elettricità rappresentano un serio ostacolo all’adozione dei veicoli elettrici, così come suscita interrogativi allarmanti tutto il tema dello smaltimento delle batterie esaurite. Ma qualcosa si sta muovendo. E anche piuttosto velocemente.
Secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia, nel 2021 si è verificato il primo significativo balzo delle vendite di veicoli elettrici che sono aumentate del 90%, di cui l’85% per veicoli elettrici a batteria. Il mercato valutato in quell’anno a 11,94 miliardi di dollari, dovrebbe raggiungere i 21,39 miliardi entro il 2027.
In realtà, avevano già cominciato a investire in questo settore piccoli Paesi come le isole Mauritius, che hanno adottato misure di incentivazione nel 2009, riducendo della metà le accise sulle auto elettriche e ibride. Il Mozambico ha adottato nel 2019 una strategia nazionale per la mobilità elettrica, mentre Capo Verde ed Egitto si sono impegnati a vietare la vendita di mezzi di trasporto convenzionali entro il 2040. La misura riguarderà i veicoli stradali a Capo Verde e quelli per passeggeri in Egitto. E proprio quest’ultimo Paese rappresenta un interessante osservatorio di alcune delle tendenze che si stanno affermando anche in altre parti dell’Africa.
A causa del suo sovraffollamento, ma anche del suo traffico a dir poco infernale e del conseguente inquinamento, all’inizio degli anni Duemila le autorità egiziane hanno deciso di trasferire tutte il cuore politico, economico e amministrativo del Paese in una città costruita ex novo, la Nuova Cairo. Nel frattempo, però, hanno sottoscritto accordi e partnership specialmente con aziende cinesi per incrementare il trasporto elettrico. Nel dicembre del 2024, la più grande casa automobilistica statale cinese (Saic Motor) ha firmato un accordo con Mansour Group per la produzione di 100 mila veicoli da metà 2026. Nel frattempo, lo scorso 15 gennaio, la cinese Geely ha inaugurato il suo primo stabilimento in grado di produrre 30 mila veicoli con l’obiettivo di arrivare a esportarne lo stesso numero. A partire dal primo autobus elettrico testato nel dicembre del 2019 sono dunque stati fatti significativi passi avanti nell’introduzione – e anche nella produzione – di veicoli elettrici. Al punto che anche la start up egiziana Blu EV, specializzata nella conversione di motocicli a combustione, non solo mira a coprire l’intero paese entro cinque anni, ma si prepara anche a entrare nel mercato del Marocco.
Su questa strada si sono avviati anche Paesi come l’Uganda, il Sudafrica e la Nigeria, che stanno lavorando per compiere un balzo in avanti tecnologico nel comparto automobilistico, sviluppando un settore locale di veicoli elettrici. Anche in Kenya, dove circolano circa un milione e mezzo di boda boda (mototaxi), il passaggio verso le moto elettriche sta avvenendo in maniera rapidissima, al punto che il presidente William Ruto mira a vederne in circolazione circa duecentomila entro la fine di quest’anno. È quello che sta avvenendo pure in Ruanda, dove sfrecciano più di centomila motociclette. Il governo vorrebbe renderle tutte elettriche, anche se questo metterebbe a dura prova la rete di fornitura energetica del Paese. In questo ambito, però, sono nate numerose start up che stanno proponendo soluzioni innovative e sostenibili, come la realizzazione di centrali elettriche a energia solare, programmi di sostituzione delle batterie, riutilizzo o riciclaggio delle stesse quando si esauriscono e piccoli sistemi di generazione di energia localizzati che funzionano al di fuori dalla rete statale. Del resto, nel 2021, la Commissione nazionale ruandese per l’inventario dei gas ha rilevato che i soli mototaxi contribuivano al 32% delle emissioni totali di anidride carbonica del traffico stradale. Di qui, l’avvio di un programma ampio e articolato volto a ridurre significativamente l’emissione di gas serra.
Ma se tali progetti sono più facilmente realizzabili in un piccolo Paese come il Ruanda, questo tipo di iniziativa è alquanto più difficile in Paesi grandi e poco strutturati come l’Etiopia. Che tuttavia non vuole farsi trovare impreparata di fronte a questa sfida. Lo scorso aprile, ha cominciato a circolare un centinaio di bus elettici, anticipati nell’autunno del 2024 da 150 minibus. Ma già nel gennaio 2024, è stato il primo Paese a decidere di vietare l’importazione di auto non elettriche o ibride. L’Unione Europea prevede l’introduzione di un simile provvedimento solo nel 2035.
Nel frattempo, 100 mila automobilisti si sono orientati verso l’auto elettrica (erano 7.500 nel 2024), in un Paese dove solo un milione e mezzo di abitanti su 130 milioni guida un’automobile, che rimane a tutti gli effetti un lusso per pochi. Resta però il problema – qui come ovunque – dello smaltimento delle batterie esaurite. Nonché dell’obsolescenza della rete elettrica, che in Etiopia, ad esempio, rifornisce poco più della metà (55%) della popolazione. Anche qui, tuttavia, la marcia verso la conversione all’elettrico va avanti spedita. E mostra che – con le adeguate cautele – è una via percorribile per un futuro più sostenibile.
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