Attanasio, tra memoria e impunità

Attanasio, tra memoria e impunità

A un anno dall’uccisione dell’ambasciatore in Congo, le indagini arrancano ma restano il ricordo e l’impegno di chi lo ha conosciuto. A cominciare dalla moglie Zakia Seddiki e dalla sua associazione “Mama Sofia”

 

È già passato un anno dal terribile omicidio dell’ambasciatore italiano in Repubblica Democratica del Congo Luca Attanasio, del carabiniere che lo accompagnava, Vittorio Iacovacci, e del loro autista, Mustapha Milango. Era il 22 febbraio 2021, quando il loro convoglio, formato da due veicoli del Programma alimentare mondiale (Pam), è stato attaccato nei pressi di Goma, nel Nord Kivu. E ancora oggi nulla si sa dei responsabili.

Come molti temevano, a cominciare dai familiari, questa gravissima vicenda rischia di cadere nell’oblio e di impantanarsi nei meandri di una giustizia opaca. Come del resto molte delle drammatiche vicende che riguardano le regioni orientali del Congo, devastate da continue violenze e dallo sfruttamento indiscriminate delle risorse minerarie. Nemmeno l’omicidio di un diplomatico sembra aver scosso le autorità locali che hanno favorito un clima di generale impunità.

Secondo Matteo Giusti, che ha ricostruito la vicenda nel libro “L’omicidio Attanasio. Morte di un ambasciatore” (Castelvecchi, 2021), almeno un colpevole certo ci sarebbe: «Chi ha considerato quella strada sicura, dove non necessitava una scorta armata, secondo me è il primo dei colpevoli».
Un’altra certezza, secondo Giusti, è che le autorità congolesi starebbero facendo di tutto per insabbiare l’inchiesta. Anche il Pam, tuttavia, continua a mantenere un atteggiamento non collaborativo e a opporre l’immunità dei suoi funzionari. E mentre la Procura di Roma si appresta a concludere l’istruttoria, la politica, le istituzioni e anche l’opinione pubblica italiana – al di là di qualche evento celebrativo – sembrano già essersene dimenticate.

Quel che resta, però, sono i molti segni che Attanasio ha lasciato in Congo (e non solo) e che continuano a dare frutti, sia attraverso l’associazione creata con la moglie Zakia Seddiki, “Mama Sofia”, sia attraverso le molte iniziative che stanno andando avanti a suo nome e grazie al suo contributo.
«Non sono il numero di anni di una vita che contano, ma la vita che c’è in quegli anni – ha detto la moglie. Luca ha dato senso alla sua vita e anche alla sua morte. Siamo tutti di passaggio, meglio rendere quello che ci è dato di vivere qualcosa di utile per gli altri. Abbiamo tutti una missione: la mia è vivere per le mie figlie, ma anche per i bambini del mondo come io e mio marito avevamo sognato insieme».