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Le sfide dell’Africa sono anche le nostre

L’EDITORIALE
Piange ancora l’Africa e per tante ragioni. «Ma che fare?», si chiedono i missionari e gli operatori umanitari sul posto
Per venti giorni su strade sconnesse, il caldo a 35 gradi, zanzare e notti afose. E dire che novembre non è il mese più difficile per la Guinea Bissau, spazzata in altri periodi dell’anno da piogge torrenziali o con l’asticella di mercurio oltre i 40 gradi. Eppure provo una sensazione particolare in ogni visita alle missioni e ai missionari, alla loro gente, ai problemi che affrontano ogni giorno e alle loro storie circa le diversità culturali e psicologiche rispetto a noi. La Guinea Bissau è un Paese di solo un milione ottocentomila abitanti nell’Africa occidentale. I missionari del Pime vi sono arrivati nel 1947, quando i portoghesi ancora dominavano Stato e Chiesa con criteri tipicamente coloniali. Negli anni Settanta e Ottanta anche i religiosi hanno attraversato le sofferenze della lotta di indipendenza (1975), delle divisioni ideologiche, dei tentativi controversi di fare missione in modo più incarnato e radicato nella povertà delle campagne, nella solitudine delle isole, nel profondo della foresta e a contatto con le ricche e contraddittorie tradizioni ancestrali africane, che i colonizzatori avevano semplicemente liquidato in blocco come superstizioni e manifestazioni diaboliche. Oggi i missionari, in Africa come altrove, sgranano gli occhi quasi increduli di fronte alla velocità del cambiamento, che porta in massa i giovani in città, nel mondo “moderno”, addirittura altrove. Cala l’urgenza per gli studi antropologici, linguistici e delle religioni tradizionali; cresce la necessità di saperci fare nel mondo dei media, della scuola, del disagio urbano, delle migrazioni, della formazione catechetica e teologica sempre più esigente nel metodo e rigorosa nelle risposte. Occorre diventare mobili e flessibili anche nella missione. L’Africa intanto continua a piangere sotto il peso del perdurante sfruttamento post coloniale, ma ancor più della corruzione delle leadership locali, che hanno rimpiazzato, spesso senza fare meglio, i padroni e gli amministratori europei. Piange l’Africa anche per il retaggio di credenze ancestrali dannose e devastanti, come gli iran della Guinea Bissau, in cui vengono identificati anche i bambini nati “diversamente abili” e quindi destinati alla morte perché incarnazione di spiriti maligni e minacciosi. Piange il continente per la scarsità di piogge in molte aree o il fenomeno più recente dei cambiamenti climatici, fatali per l’agricoltura e causa di fame. I giovani che non vogliono “piangere” per tutta la vita si dirigono verso le coste del Mediterraneo e se sono fortunati arrivano da noi. Sappiamo che la cosa non fa bene all’Africa e pone seri problemi all’Europa. «Ma che fare?», si chiedono i missionari e gli operatori umanitari sul posto. Anch’essi, ho visto, senza poter dare una risposta.

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