«Stiamo finendo le medicine»

«Tra pochi giorni finiranno le riserve di antiretrovirali per i malati di HIV/AIDS. È la drammatica testimonianza della dottoressa Dominique Corti dal Lacor Hospital di Gulu, in Uganda. Ma è soprattutto la devastante conseguenza della decisione di Donald Trump di bloccare i fondi dell’agenzia umanitaria USAID, che colpisce moltissime organizzazioni nei contesti più difficili del pianeta
La sciagurata decisione del presidente americano Donald Trump di bloccare i fondi dell’agenzia umanitaria USAID sta avendo ripercussioni tragiche nelle zone più vulnerabili del mondo e tra le persone più colpite da guerre e catastrofi. Moltissime organizzazioni si trovano oggi in grandi difficoltà e non riescono a garantire aiuti fondamentali, in molti casi, per la sopravvivenza stessa delle persone. Una di queste è la Fondazione Piero e Lucille Corti, che da decenni porta avanti un preziosissimo lavoro nel Lacor Hospital di Gulu, in Uganda, unico punto di riferimento sanitario per una delle regioni più povere del Paese.
Ecco il drammatico racconto della presidente Dominique Corti che si trova nell’ospedale ugandese, dove tra pochi giorni finiranno le riserve di antiretrovirali per i malati di HIV/AIDS. Per tante donne e uomini non ci saranno più speranze, come era successo per la stessa madre di Dominique, Lucille, medico chirurgo, che si era infettata durante un’operazione, ed è morte nel 1996, quando la malattia era ancora poco conosciuta e, soprattutto, i medicinali erano scarsamente disponibili. Da allora il Lacor Hospital è diventato un centro sempre più specializzato nell’ambito della cura dei malati di HIV/AIDS. Oggi, tuttavia, l’incubo di non potersi curare ritorna per migliaia di persone. Ecco l’accorato appello di Dominique Corti:
«Vi scrivo dal Lacor dove sono giunta alcuni giorni fa. Alle sfide che affrontiamo ormai da molti anni insieme al personale dell’ospedale, se ne è aggiunta una inimmaginabile fino a qualche settimana fa: il blocco dei fondi dell’agenzia statunitense USAID. Per oltre vent’anni, USAID ha finanziato il programma salvavita per le persone sieropositive, ovvero la prevenzione, la diagnosi e soprattutto la costosa terapia dei malati con HIV.
Il 6 marzo, abbiamo ricevuto la lettera che mette la parola fine alle speranze di continuare a ricevere almeno i preziosi farmaci.
Per il Lacor questo significa una perdita di circa 600 mila dollari all’anno. Solo i farmaci antiretrovirali che venivano garantiti alle 7 mila persone sieropositive in cura al Lacor avevano un valore di 400 mila dollari. Una somma pari al costo di tutti gli altri farmaci che servono per curare il resto dei 190 mila pazienti che l’ospedale accoglie ogni anno.
Inoltre, il Lacor riceveva circa 200 mila dollari per la copertura degli stipendi di una quarantina di dipendenti coinvolti nelle cure dei pazienti con HIV.
Costi che il Lacor, già in crisi per gli eccezionali aumenti dovuti alla pandemia e alla situazione geopolitica, non può permettersi.
La Fondazione, che sopperisce alle necessità nei momenti di crisi, non può far fronte anche ad ulteriori cifre di quest’ entità.
Da ieri il Dr Emmanuel Ochola, direttore scientifico e responsabile al Lacor per il programma HIV, ha fermato gli outreach, le missioni per le visite di controllo e la distribuzione dei farmaci a chi vive nei villaggi lontani. Tra pochi giorni finiremo le riserve di antiretrovirali in ospedale.
Per me, per tutti i colleghi ugandesi e italiani, sanitari e non, che condividono la felicità e la responsabilità di questo lavoro, non si tratta di persone senza volto che vivono dall’altro lato del mondo. Sono donne che lavorano da decenni in ospedale, che mantengono la propria famiglia. Donne che ricordo ridotte come mia mamma a uno scheletro, malate una settimana sì e due no fino a quando, nel 2004, è stato avviato questo programma.
Con gli antiretrovirali hanno ripreso a vivere, hanno avuto figli. Ora i pensieri e la preoccupazione sono da impazzire. Ma non è che l’ennesima tra quelle malattie che qui in Uganda conducono a morte, mentre in Italia sono presto e semplicemente risolte. Senza antiretrovirali l’HIV è una sentenza di morte e di nuovo un grande pericolo di diffusione del virus.
Stiamo cercando soluzioni per tamponare l’emergenza, ma la coperta è corta, le risorse sempre più stirate».
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