Se la Chiesa brucia ripartiamo dal basso

EDITORIALE

“La Chiesa brucia”. Queste tre parole, che danno il titolo all’ultimo libro di Andrea Riccardi (Laterza), sono la preoccupazione vera di molti fedeli che si trovano a vivere una situazione completamente mutata, dove l’indifferenza al messaggio cristiano, e ancora di più all’istituzione ecclesiale, si è fatta ormai bruciante.Sarebbe interessante domandarsi quali siano le ragioni di questa disaffezione verso un’istituzione bimillenaria che ha sempre avuto come cifra costitutiva l’essere accanto all’uomo, l’accompagnare il suo cammino in ogni aspetto, di gioia e di fatica. Qualcosa si è rotto.

Certamente noi uomini di Chiesa dobbiamo porci delle domande serie, avere il coraggio di guardare in faccia le nostre responsabilità e soprattutto i nostri silenzi, le decisioni non prese e le scelte rimandate a tempi indefiniti, in nome di una pseudo pace che si rivela essere poi contro il bene della stessa comunità ecclesiale.
Oggi ci troviamo di fronte a una Chiesa spesso preoccupata del politically correct, di essere in linea con il pensiero dominante, per cui già si conoscono i temi da trattare ed è già predefinito il modo in cui affrontarli. Ma così si perde sapore, si perde il “sale” evangelico che dà senso allo stare nel mondo come segno di una vita che va molto oltre. E sa andare oltre perché guarda sempre e solo a Cristo che tutto illumina di luce nuova.
Le vicende di qualche settimana fa legate agli scandali finanziari vaticani – che hanno riguardato anche l’Obolo di San Pietro e hanno minato la fiducia dei fedeli nella gestione di questi fondi – dicono di uno sguardo rivolto verso l’oggetto sbagliato, che non è più Cristo.

Allora che fare? Dobbiamo lasciare che la Chiesa bruci deponendo le armi della speranza? Forse dobbiamo semplicemente renderci conto che la Chiesa ha sempre bruciato. Ha cominciato a bruciare con il tradimento di Giuda e il rinnegamento di Pietro, e non ha più smesso. E forse mai smetterà, perché dobbiamo sempre ricordare e constatare che essa non è salvata da noi ma da Cristo.
Di certo oggi pare evidente che la salvezza della Chiesa non verrà dalla gerarchia, dai suoi uomini vestiti di pizzi, ma dal basso, dal popolo di Dio che vive la genuinità della fede, di rosari, Messe cantate e ben celebrate, di carità vissuta, di gesti di amore gratuito che scaldano il cuore, di chiarezza di fede e di dottrina che viene dalla pratica concreta delle sue verità teologiche. Di uomini e donne, consacrati e consacrate, che sanno tenere lo sguardo fisso sul Cristo Risorto, che sanno chiedere perdono per i loro peccati e si sporcano mani e piedi accanto a chi cerca davvero il Signore Gesù dentro i meandri della storia, dentro i suoi chiaroscuri. Il racconto dei catechisti presentati come “la via della missione” dice molto bene questa realtà. Serve tornare a calpestare strade, vicoli e piazze, mercati e spiagge di pescatori, proprio come ha fatto Gesù. E dobbiamo tornarci, come dice san Paolo nella lettera ai Corinzi: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso». Questo è ciò che abbiamo da dire e da portare all’uomo, e null’altro. Il resto, il politically correct, non è affar nostro. È affare di un mondo che non ha Cristo al centro.