Casa comune Chiese in prima linea

Casa comune Chiese in prima linea

Sulla scia dell’esortazione di Papa Francesco, diocesi e movimenti cattolici in tutto il mondo si sono attivati per promuovere la cura del Creato

Ripagare il debito ecologico. È quanto ha chiesto Papa Francesco lo scorso aprile rivolgendosi alle due principali istituzioni finanziarie del mondo: il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale. Perché la nostra “casa comune” (oikos, in greco) è sia casa eco-nomica che casa eco-logica. Da proteggere, curare, far crescere in modo sostenibile e inclusivo. Per il bene di tutti. L’appello di Papa Francesco, tuttavia, non è rivolto solo alle grandi istituzioni. Lo scorso 4 ottobre ha convocato in Vaticano scienziati e responsabili religiosi da tutto il mondo. Ma le prime a essere chiamate in causa sono innazitutto le Chiese (oltre che ciascun fedele). «Tutti possiamo collaborare, ognuno con la propria cultura ed esperienza, ciascuno con le proprie iniziative e capacità, perché la nostra madre Terra ritorni alla sua originale bellezza e la creazione torni a risplendere secondo il progetto di Dio», ha ricordato il Pontefice il 25 maggio, a sei anni dalla promulgazione della Laudato si’ e in occasione del lancio della Piattaforma di iniziative che a essa si ispirano: un piano di sette anni rivolto a famiglie, comunità, scuole e università, ospedali, imprese, aziende agricole e istituti religiosi, «perché diventino totalmente sostenibili, nello spirito dell’ecologia integrale».
Guardando un po’ in giro per il mondo, si incontrano già diverse esperienze interessanti e tante altre stanno nascendo. In Ghana, ad esempio, i vescovi della Conferenza episcopale hanno accolto con favore l’iniziativa del Papa e hanno preso l’impegno di piantare un milione di alberi, un’azione concreta che va ad affiancare e sostenere il progetto governativo Green Ghana lanciato a giugno: «Tutte le comunità ecclesiali, così come i laici, sono incoraggiati a compiere passi concreti per piantare alberi al fine di raggiungere l’obiettivo».
In Kenya, avevano già cominciato lo scorso anno, con la piantumazione di semi nella foresta di Kakamega, l’unica pluviale rimasta nel Paese, ad opera del Global Catholic Climate Movement (Gccm), il Movimento cattolico globale per il clima. Al programma hanno partecipato 500 persone di diverse confessioni cristiane, che hanno realizzato anche iniziative di sensibilizzazione per un uso più rispettoso delle risorse della terra. «Piantare un albero – aveva detto Papa Francesco proprio in Kenya nel 2015 – è, in primo luogo, un invito a continuare a lottare contro fenomeni come la deforestazione e la desertificazione. Ma ci pro­voca anche a continuare ad avere fiducia, a sperare e soprattutto a impegnarci concretamente per trasformare tutte le situazioni di ingiustizia e di degrado che oggi soffriamo».
In quest’ottica, i giovani del Gccm sono intervenuti anche in ambito urbano per affrontare sia simbolicamente che concretamente una delle più grandi sfide che attanagliano le città: quello dell’immensa produzione di rifiuti. E così, in collaborazione con l’ong Nairobi Recyclers (Narec), hanno dato vita a un progetto di riciclaggio che mira a ripulire parte della capitale. Oltre a raccogliere la spazzatura e a proteggere l’ambiente dall’inquinamento, il team dei Nairobi Recyclers ha identificato anche 17 scuole e 5 case religiose di accoglienza per bambini dove intende piantare più di mille alberi da frutto e di altre specie.
In Zimbabwe, secondo i vescovi, l’attuale crisi ambientale, «alimentata da povertà, interessi commerciali e consumismo», provoca «sfruttamento e degrado ambientale che influenzano a loro volta la vita delle persone e il loro diritto, dato da Dio, di godere di ciò che è stato creato per tutti».
Lo sanno bene anche in Repubblica Democratica del Congo, dove è presente la foresta pluviale più vasta al mondo dopo l’Amazzonia: 170 milioni di ettari che si estendono anche nei Paesi vicini. Il “polmone verde” dell’Africa, così come tutte le foreste del continente, sono secondo la Fao gravemente a rischio. Negli ultimi dieci anni, infatti, l’Africa ha registrato il più alto tasso di deforestazione al mondo, perdendo quasi quattro milioni di ettari all’anno. Ne hanno parlato a fine giugno a Kinshasa i vescovi del Paese alla presenza del cardinale Peter Turkson su iniziativa della Commissione episcopale per le risorse naturali. «Come conservare la foresta e le persone che ci vivono? – si è interrogato il presidente della Conferenza episcopale, mons. Marcel Utembi. Secondo il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, «occorre offrire alle popolazioni condizioni di vita degne senza mettere in pericolo la “casa comune”. Come Chiesa, abbiamo un grande lavoro da fare soprattutto in termini di sensibilizzazione».

Anche dall’altra parte del mondo, in Bangladesh, la Chiesa ha lanciato un programma per la piantumazione di 400 mila alberi, simbolicamente uno per ogni cattolico del Paese. Hanno cominciato i vescovi stessi che, nell’agosto del 2020, guidati dall’arcivescovo emerito di Dacca, cardinale Patrick D’Rozario, hanno piantato tre alberi a rappresentare il clero e i religiosi, i fedeli laici e gli stessi prelati. Poi, hanno incoraggiato tutti a fare altrettanto nelle otto diocesi del Paese. L’iniziativa è stata abbracciata anche dal Movimento degli studenti cattolici e dal Forum unito delle Chiese che conta circa 200 mila cristiani di altre denominazioni. L’iniziativa, secondo il cardinal D’Rozario, mira a rafforzare anche uno spirito di «crescita, cura e condivisione» e risponde alla funzione pedagogica di insegnarci a sviluppare «un rapporto con la creazione, con il Creatore e con gli esseri umani, in particolar modo i poveri».
Chiesa in prima linea per l’ambiente anche nelle Filippine, dove diversi vescovi hanno condannato la decisione del presidente Rodrigo Duterte di revocare la tregua di nove anni sui nuovi accordi minerari. La sospensione, firmata nel 2012 dall’ex presidente Benigno Aquino, mirava a consentire alle autorità governative di controllare e rinegoziare i contratti con le imprese in caso di abusi ambientali, oltre a dare respiro all’habitat per rigenerare flora e fauna. Ora, il dietrofront di Duterte «favorirà solo gli interessi commerciali, non la gente, specialmente le comunità povere ed emarginate», ha denunciato monsignor Jose Collin Bagaforo di Kidapawan, a capo della Caritas filippina, chiedendo al governo di riconsiderare la revoca.

L’arcivescovo Ricardo Baccay di Tuguegarao ha ammonito che «l’estrazione della magnetite è destinata ad accentuare le inondazioni e a causare una massiccia erosione nelle zone costiere», mentre il vescovo emerito di Sorsogon, Arturo Bastes, ha ricordato la sua esperienza come presidente della Rapu-Rapu Mining Fact Finding Commis­sion, che ha indagato sui terribili danni provocati dalla Lafayette Mining Corporation all’isola di Rapu-Rapu e all’ambiente marino: «Gli effetti negativi dell’attività estrattiva sono innegabili».
I progetti minerari a cielo aperto, con la rimozione di migliaia di tonnellate di roccia e suolo e, in questo caso, l’utilizzo di enormi quantità di acqua e cianuro, sono pure al centro della mobilitazione della Commissione Giustizia e Pace della Chiesa argentina, che nelle scorse settimane ha promosso un abbraccio collettivo simbolico per esprimere solidarietà alla popolazione delle province di Chubut e Catamarca, colpite dagli effetti di queste pratiche, e chiedere l’utilizzo di tecnologie alternative, «compatibili con la cura del Creato e delle persone».
La Commissione ha anche attaccato il disegno di legge, presentato dal partito di governo, che riduce la percentuale di utilizzo dei biocarburanti prevista dalla normativa attuale: «Una chiara battuta d’arresto nella politica ambientale argentina».