Tunisia: l’annuncio silenzioso tra il deserto e il mare
Il Pime ha aperto una nuova comunità a Gabès, città del Sud tunisino segnata da sfide come l’inquinamento e i flussi dei migranti che sognano l’Europa. «Abbiamo riportato una presenza cristiana, a partire dall’amicizia», racconta padre Patience Kalkama
Dalla piccola parrocchia di Gabès basta percorrere il vialone Habib Thameur, bordato di basse case bianche un po’ scrostate, per raggiungere in pochi minuti il porto dei pescatori, sotto l’antico faro, e la spiaggia della Corniche con il suo panorama da cartolina. Ma le acque del Mediterraneo che lambiscono questa costa del Sud-est tunisino nascondono una minaccia, ben nota agli abitanti della città. «Il mare è pesantemente contaminato dagli scarti delle aziende chimiche, che fanno di quest’area la più inquinata del Paese».
A raccontarlo è padre Patience Kalkama, missionario del Pime originario del Camerun che, a 38 anni, è oggi il parroco della minuscola comunità cattolica di Gabès, importante area industriale al centro dei progetti di sviluppo del presidente-padrone Kaïs Saïed. Qui sorge infatti il Gruppo chimico tunisino, il più grande complesso nazionale di produzione di fertilizzanti a base di fosfati. Da anni i residenti denunciano i gravi effetti delle emissioni tossiche sull’ambiente e sulla salute delle persone: qui i casi di cancro, malattie respiratorie, problemi cardiaci e altre gravi patologie hanno un’incidenza inquietante, tanto che nel 2017 le autorità avevano annunciato la chiusura del sito. Di recente, invece, il governo ha deciso di rilanciare il settore dei fosfati, che rappresentano la principale risorsa naturale della Tunisia. E pazienza per i danni alla salute della comunità.
D’altra parte, «in città quasi tutti lavorano in queste fabbriche e per i giovani si tratta di una delle poche opportunità di impiego», conferma padre Patience, che opera in Tunisia da tre anni: prima era stato a Tozeur, nell’oasi ai margini del lago salato di Chott el-Jerid, poi a Bizerte, nell’estremo Nord del Paese. Dallo scorso ottobre, insieme al confratello padre Anand Talluri, ha aperto la nuova missione del Pime a Gabès, centro da 160 mila abitanti dove i palmeti irrigati dal Wadi Qabis arrivano quasi fino alla costa, in un insolito incontro tra deserto e mare. «L’arcivescovo di Tunisi, monsignor Nicolas Lhernould, ci teneva a riportare una presenza cristiana in questa città dove in passato operavano le Suore della carità di Nevers, che hanno poi chiuso la comunità, e un sacerdote franco-tunisino ora deceduto, padre Dominique Tommy-Martin», spiega il missionario camerunese. Da anni, qui venivano solo a celebrare la Messa nel weekend i Padri Bianchi basati a Sfax, a due ore di auto.
Così il Pime, che è in Tunisia dal 2019 proprio per offrire nuova linfa all’unica diocesi di un Paese quasi totalmente musulmano, ha accettato la proposta di riaprire la parrocchia dell’Immacolata Concezione, a pochi passi dalla vecchia chiesa espropriata dal governo nel 1964. «Oggi – racconta padre Patience – si usa la chiesetta costruita nell’appartamento in cui abitiamo io e padre Anand». E chi viene a pregare? «Oltre a una coppia di pensionati francesi che vivono qui per buona parte dell’anno, la comunità cristiana è formata soprattutto da studenti provenienti dall’Africa subsahariana, dal Gabon al Ciad, dal Benin alle Comore, che hanno ottenuto borse di studio per frequentare l’Università locale, in particolare la facoltà di Scienze informatiche. Quasi tutti sognano poi di andare in America o in Europa, magari attraverso dei master, per qualificarsi e trovare un lavoro fuori dal Continente».
Tantissimi altri, tuttavia, sono gli africani che a Gabès arrivano ogni giorno in modo irregolare, dalla Libia o da altre zone della Tunisia, con il miraggio di prendere il mare su uno dei barconi che attraversano il Mediterraneo diretti verso la “Fortezza Europa”. «Puoi vederli dappertutto in città: fuori dai supermercati a chiedere l’elemosina, o nei pressi della stazione. Ci sono anche donne giovani con i bambini. La loro intenzione è raggiungere Zarzis, da dove partono i barconi. Sono convinti che la felicità sia al di là del mare, e quando noi parliamo dei rischi dei naufragi o degli abusi, loro minimizzano il pericolo, dicono che se è destino arriveranno, e che nulla è peggio di ciò che hanno già vissuto». I lager libici, ma anche il trattamento inumano del governo tunisino, che riceve dall’Unione Europea mucchi di denaro per “gestire” i flussi migratori, ma sui diritti umani chiude regolarmente un occhio: «Alcuni ci raccontano di essere stati caricati su dei pullman per poi finire abbandonati nel deserto».
I due missionari hanno pochi strumenti per venire in aiuto di questa gente, che arriva soprattutto dalla Sierra Leone e poi da Costa d’Avorio, Camerun, Nigeria… «Localmente non esiste un ufficio della Caritas, che invece a Tunisi ha un programma per sostenere i rimpatri volontari. Noi dobbiamo limitarci a fornire qualche aiuto di base, come cibo o abiti adeguati, oltre naturalmente a parlare con queste persone, a offrire consigli concreti, ad ascoltarle». Insomma, creare relazioni. Che è un po’ il cuore della missione a queste latitudini. Anche nella pastorale quotidiana, a fianco dei giovani che frequentano la parrocchia, dei quali solo una decina si professano cristiani, tra cattolici e protestanti… «Ma a Pasqua abbiamo celebrato il Battesimo di un ragazzo del Benin, mentre qualcuno ci ha già chiesto di iniziare il percorso del catecumenato a settembre», racconta padre Patience. Questo piccolo gruppo di fedeli anima le attività organizzate in parrocchia, dagli incontri di formazione alle iniziative conviviali. Occasioni a cui spesso si uniscono anche amici musulmani: «Diversi compagni di università dei nostri giovani hanno partecipato alle gite parrocchiali, come quando siamo andati alle Oasi di montagna del Sud, o a Tozeur, mentre alcuni sono venuti a pranzo con noi a Natale e a Pasqua. Una ragazza tunisina era presente pure durante la visita pastorale del vescovo, a giugno».
La Messa settimanale è frequentata anche da coppie di fedi diverse, e c’è chi viene a bussare alla porta dei due missionari solo per scambiare qualche parola: «Le persone di una certa età ci raccontano di avere conosciuto padre Dominique, o ci parlano di com’era un tempo Gabès, quando ci vivevano tanti cristiani e anche ebrei. Spesso ci chiedono di visitare la chiesa». Ci sono tunisini che vorrebbero avvicinarsi alla fede cristiana? «Certo, qualcuno ci chiede di partecipare alla Messa, ma su questo dobbiamo dire no: sebbene sulla carta nel Paese ci sia la libertà religiosa, nei fatti non è così ed è necessario rispettare le sensibilità locali». Non si può evitare, tuttavia, il confronto quotidiano sui temi della fede perché – racconta il missionario camerunese – «nel Paese tutto ruota attorno a questo, c’è sempre qualcuno che ti chiede: “Ma tu sei cristiano? Perché?”, persino in coda dal medico, o quando giochiamo a calcio con i ragazzini nel campetto vicino a casa nostra. E noi non ci nascondiamo, ci lasciamo provocare e condividiamo ciò in cui crediamo».
A fianco di questa missione della testimonianza, il desiderio sarebbe quello di iniziare una forma di servizio sociale, come già avviene nelle altre comunità del Pime in Tunisia: «A Bizerte per esempio facevamo volontariato con l’Utaim, un centro per persone con disabilità, e vorremmo fare lo stesso nella filiale dell’associazione a Gabès, ma c’è un iter burocratico complicato da seguire, come sempre in questo Paese…». Ancor più se sei un sacerdote straniero, che oltretutto proviene dall’Africa subsahariana, come tanti “indesiderati” che percorrono le strade tunisine.
«Ormai sono abituato a mostrare i documenti alla polizia», ammette padre Patience con un sorriso, assicurando però di non avere mai vissuto esperienze di discriminazione pesante. Da parte sua, lui si immerge ogni giorno di più nel suo contesto di missione, tra potenzialità e sfide. Come quella ambientale, in una città dove le spiagge turistiche sono spesso disseminati di pesci e tartarughe uccisi dalle emissioni tossiche delle aziende: «Io sono incaricato della neonata commissione diocesana Laudato si’. Per ora abbiamo organizzato iniziative formative con le associazioni che in Tunisia si occupano di agricoltura, ad esempio per la promozione dei semi locali, ma l’idea sarebbe lavorare nelle scuole attraverso progetti educativi con i ragazzi».
Articoli correlati
Deportati
Cade El Fasher, precipita il Sudan

