Scuola gratis, ma non per tutti
Riaprono le scuole, ma in Africa subsahariana milioni di bambini continuano a esserne esclusi, nonostante molti Paesi abbiano abolito le tasse scolastiche. Guerre, crisi climatica, migrazioni forzate e povertà restano i principali ostacoli. Ascolta anche il PODCAST
Free education! Scuola gratuita. In Africa subsahariana questo slogan si è trasformato solo parzialmente nella possibilità per tutti i bambini di accedere alla scuola senza pagare le tasse. Che effettivamente è il primo e più semplice strumento per permettere a tutti di avere un’istruzione.
In questi anni sono stati fatti alcuni significativi passi avanti. E qualcuno indietro. La pandemia di Coronavirus, in particolare, con la conseguente chiusura delle scuole anche per molti mesi, ha provocato la dispersione di milioni di bambini africani che solo parzialmente vi hanno fatto ritorno. E così, a qualche anno di distanza, si fatica ancora a colmare il gap. Le molte situazioni di guerra, crisi climatica, esodo forzato di persone e povertà estrema, presenti in molte parti del continente, non permettono un regolare funzionamento dei sistemi scolastici, che spesso non hanno neppure i mezzi per far sì che la scuola sia gratis a tutti gli effetti.
E così, l’Africa subsahariana presenta ancora oggi i tassi di esclusione scolastica più elevati con quasi 100 milioni di bambini che non vanno a scuola, secondo l’Unesco. Oltre un quinto di quelli tra i 6 e gli 11 anni non studia e un terzo di quelli tra i 12 e i 14 anni. La percentuale sale ulteriormente tra gli adolescenti, con quasi la metà dei ragazzi tra i 15 e i 17 anni che non completa l’istruzione secondaria inferiore. Le bambine e le ragazze continuano a essere le più penalizzate.
La povertà resta uno dei principali fattori che portano all’esclusione. Anche nelle situazioni in cui sono state abolite le tasse scolastiche, infatti, spesso le famiglie devono sobbarcarsi i costi delle divise scolastiche e del materiale didattico, ma anche di contributi in denaro per compensare i miseri stipendi degli insegnanti, che in molti casi vengono pagati con gravi ritardi. Siamo ancora molto lontani dal raggiungere l’Obiettivo 4 dell’Agenda Onu dello sviluppo sostenibile che mira a garantire un’istruzione inclusiva ed equa e promuovere opportunità di apprendimento per tutti. In molte parti dell’Africa, si vive il paradosso per cui la povertà frena l’accesso alla scuola e i bassi livelli di istruzione frenano lo sviluppo e il miglioramento delle condizioni di vita della gente.
Uno dei casi più emblematici è quello della Repubblica Democratica del Congo, dove – specialmente nelle regioni orientali destabilizzate da trent’anni di guerra – l’istruzione è divenuta una vera e propria sfida. Qui si concentrano tutti i fattori negativi che rendono ancora oggi estremamente difficile andare a scuola: il conflitto, ovviamente, ma anche la crisi economica e sociale, la disgregazione delle famiglie, la fragilità del sistema scolastico. «Nel Paese esiste formalmente l’istruzione gratuita, ma non nella realtà – precisa padre Aimé Lulinda, salesiano di Goma -. Per varie ragioni: non ci sono abbastanza scuole e insegnanti, innanzitutto. I bambini vengono ammassati nelle classi sino a 70 o 80 e ovviamente l’insegnante non riesce a seguirli adeguatamente. Gli stipendi poi sono troppo bassi e non vengono pagati regolarmente. Con l’aumento dell’inflazione, sono assolutamente insufficienti per vivere una vita dignitosa e spesso i genitori sono chiamati a contribuire. La guerra, poi, ha aggravato la situazione. Le scuole sono rimaste inattive per circa due mesi e le banche sono tuttora chiuse, dunque anche il pagamento degli insegnanti e di tutti i dipendenti pubblici è molto difficile. E così vediamo aumentare in maniera preoccupante il numero dei bambini di strada, che recentemente sono stati presi in retate delle forze dell’ordine. Non sappiamo dove li abbiano portati. Ma il fenomeno dei bambini di strada è il sintomo, non la causa, di una crisi più profonda, che riguarda anche il sistema scolastico». Non solo, però. A Goma e dintorni ci sono centinaia di migliaia di sfollati, che sono fuggiti a più riprese nelle varie ondate di violenze che funestano il Nord Kivu e più recentemente con l’occupazione del Movimento M23, sostenuto dal Ruanda. «Tutti quelli che per anni si erano accampati sui nostri terreni sono andati via precipitosamente e non sappiamo dove sono. Nel frattempo, altri sono arrivati a causa del recente conflitto. Per tutti loro è estremamente difficile mandare i bambini a scuola. E questo inciderà molto negativamente sul loro futuro», dice padre Lulinda.
«Ancora oggi, una delle cose più importanti che i governi possono fare è proprio rendere l’istruzione accessibile e gratuita – fa notare Jo Becker della divisione dedicata ai Diritti dei bambini di Human Rights Watch -. Negli anni Novanta, quando molti Paesi hanno iniziato a eliminare le tasse scolastiche della scuola primaria, hanno ottenuto risultati straordinari».
Un esempio è il Malawi, dove sono state abolite nel 1994 con conseguente aumento delle iscrizioni del 50% nel giro di un anno. In Kenya, grazie all’istruzione primaria gratuita introdotta nel 2003, si sono iscritti 2 milioni di nuovi allievi. Un ottimo risultato sulla carta ma, anche qui, non nella realtà. Il Paese, infatti, non aveva abbastanza aule e insegnanti per garantire un’istruzione di qualità. La pandemia di Covid-19 ha messo nuovamente a dura prova il sistema keniano, con una dispersione scolastica di circa 1 milione e mezzo di studenti.
Lo stesso in Uganda, dove le scuole sono rimaste chiuse per ben 22 mesi, senza reali alternative. Ma il problema qui, come in altri Paesi, è anche la difficoltà ad accedere soprattutto alla scuola secondaria e, prima ancora, alla materna. «Secondo una nostra recente indagine realizzata con l’Iniziativa per i Diritti Sociali ed Economici dell’Uganda – spiega Jo Becker – la maggior parte dei bambini perde completamente l’istruzione prescolare, perché il governo non fornisce finanziamenti e le famiglie non sono in grado di sostenere le rette degli asili privati. Senza accesso all’istruzione prescolare, i bambini in genere non ottengono buoni risultati nella primaria, hanno il doppio delle probabilità di ripetere l’anno e di abbandonare la scuola. Molti di questi non raggiungono mai il livello dei loro coetanei, aggravando la disuguaglianza di reddito. Ma un’analisi sui costi-benefici ha rilevato che il 90% del costo dell’istruzione prescolare gratuita finanziata dal governo potrebbe essere coperto dalla prevista riduzione dei tassi di ripetizione e delle inefficienze a livello di scuola primaria». L’analisi ha concluso che «gli investimenti nella prima infanzia hanno il più alto tasso di rendimento di qualsiasi intervento sul capitale umano», come confermano anche studi della Banca Mondiale.
Tuttavia, un altro preoccupante sbarramento nel percorso scolastico di molti ragazzi africani si pone al momento di iscriversi alla scuola secondaria. Anche in questo caso, i costi rappresentano un ostacolo insormontabile per molte famiglie, e pure per i governi. E non solo in Africa. Meno del 60% dei bambini nel mondo, infatti, completa la scuola secondaria.
Alcuni Paesi, però, stanno facendo sforzi significativi. Il Ghana, ad esempio – che ha introdotto il programma di Istruzione di base universale gratuita e obbligatoria nel 1994 -, si è impegnato nel 2017 a garantire anche l’istruzione secondaria. «Ora vanta il terzo tasso di iscrizione più alto dell’Africa subsahariana, sia nella scuola materna che in quella superiore. La sua politica di istruzione secondaria gratuita ha ridotto i tassi di povertà, in particolare per le famiglie con capofamiglia donna», spiega Becker.
Paesi come Ruanda, Kenya e Sudafrica sono stati tra i primi a introdurre la gratuità per la secondaria, seguiti da Madagascar, Sierra Leone, Malawi, Namibia, Tanzania e Zambia. Lo stesso Sud Sudan, dove circa 2,8 milioni di bambini non frequentano la scuola primaria e secondaria – ovvero il 70% di quelli in età scolare – ha annunciato nel 2023 di voler introdurre la scuola secondaria gratuita. «Il problema è che spesso il governo non ha liquidità e gli insegnanti vengono pagati molto in ritardo – conferma un maestro di Bentiu -. Oltretutto, con l’inflazione galoppante lo stipendio che riceviamo è totalmente inadeguato. In molti contesti, i villaggi o le comunità si organizzano creando delle community school, dove però chi insegna spesso non è molto qualificato». In un caso come nell’altro, le famiglie devono integrare i salari degli insegnanti e pagare una sorta di “tassa” per gli esami che vengono effettuati ogni trimestre. E così anche in questo Paese – che nell’indice dello sviluppo umano del Programma Onu per lo sviluppo (Undp) si piazza al poco onorevole ultimo posto – quella che dovrebbe essere free education non è poi così gratuita.
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