«La mia Betlemme a Cracolandia»

«La mia Betlemme a Cracolandia»

Padre Carraro dal 2005 vive con gli ultimi offrendo un’alternativa alla strada. E porta l’Eucaristia anche nella zona in mano a spacciatori e consumatori di crack

C’è una Betlemme anche per gli ultimi di San Paolo. Per quelli che hanno perso un senso nella loro esistenza e vivono sulla strada. Un luogo dove avvengono anche miracoli impensati. Ed è la storia che ci racconta padre Giampietro Carraro, un missionario italiano in Brasile che, da alcuni anni ormai, si è immerso nel pantano della miseria umana, dal quale – attraverso la Missão Belém («Missione Betlemme», appunto) – offre una speranza di vita ai suoi «fratelli» di strada.

Padre Giampietro, che cos’è la Missão Belém?
«È una famiglia per chi non ha famiglia. Oggi è presente con cento case, semplici, dove si vive la solidarietà. La Missione è nata nel 2005, quando il Signore ha chiamato Cacilda – oggi missionaria dell’associazione – e me, per vivere in comunione con i fratelli che soffrono e abitano sulla strada. Così siamo diventati come loro e li abbiamo invitati a stare con noi e a conoscere un posto piú sicuro della strada, dove nessuno ha bisogno di medicine e di assistenzialismo, ma di accoglienza. Quando dico strada, dico droga, crack, alcol. Finora abbiamo contattato più di 20 mila fratelli che sono passati per la Missione. Abbiamo il sostegno della Chiesa ed uno statuto approvato dalla arcidiocesi di San Paolo».

Dove si trovano le case della Missão?
«La maggioranza nello Stato di San Paolo. Ma abbiamo anche una missione ad Haiti, Paese sconvolto dal terremoto e da una realtá fino ad oggi terribile; l’altra in Italia, dove aiutiamo alcuni brasiliani, ed una in Bosnia, dove la guerra ha prodotto 200 mila morti, soprattutto giovani. Là diamo assistenza a 150 poveri, specialmente anziani abbandonati».

Dove e come è sorta la prima casa?
«La prima è sorta a Jarinu (qui a San Paolo), con otto persone accolte. Quando abbiamo preso il locale, ci hanno chiesto l’affitto anticipato di cinque mesi. Eravamo sette-otto persone: abbiamo dato tuttto quello che avevamo. Ci sono avanzati dieci euro e con quelli abbiamo iniziato la missione. Nel primo mese la cucina era una pentola su dei mattoni con un po’ di legna per il fuoco. Prima cucinavamo i fagioli, poi il riso. Alcuni pensano che siamo un po’ matti, e probabilmente hanno anche ragione…»

E oggi?
«Sono circa 1.500 le persone accolte e seguite da 70 missionari dei quali 40 sono professi. Oltre a loro abbiamo circa 200 fratelli recuperati che hanno deciso di stare con noi e aiutarci. Qualcuno di loro dice: “Se fossi rimasto sulla strada sarei già morto. Ora voglio dare la mia vita al Signore che mi ha salvato”. Senza di loro non esisterebbe la Missione. La nostra grande compagna di viaggio è la Provvidenza. Non ci abbandona mai e ci porta spesso volontari anonimi che ci aiutano, senza apparire».

Perché qualcuno decide di stare sulla strada? 
«Nella maggior parte dei casi è a causa della droga. La mia esperienza mi dice che la droga è un segno molto chiaro di un vuoto interiore, la mancanza di qualcosa che dia senso alla tua vita. La droga è un idolo fabbricato, così come ci sono oggi altri idoli: soldi, potere, violenza, piacere. È il sintomo che le persone stanno male dentro. Questo vuoto dà una grande tristezza, e molti vedono nella droga una risposta per non impazzire. È qui il dilemma: droga o pazzia? E scelgono la droga. Ma quando finisce l’effetto, vengono la tristezza e il rimorso di aver sbagliato tutto. E allora si cerca un’altra dose e il circolo vizioso si ripete all’infinito».

Che cosa ci dice della Cracolandia? 
«Un giorno, insieme a mia sorella Chiara che lavora con me per i fratelli di strada, ho visitato questa regione e sono entrato per la prima volta nella Cracolandia. In quel momento una persona, sotto effetto della droga, ha minacciato mia sorella e voleva assolutamente la sua maglietta perché diceva che era sua. “Ok, prendila”, ha detto Chiara. Un altro uomo di strada vedendo la scena voleva difenderci e ha iniziato a litigare con quello che ci ha assalito. È iniziata così una grande confusione: è stato il mio primo impatto con Cracolandia. Col passare del tempo ho capito il senso di quanto ripetevano continuamente: “Qui si viene per morire. Qui è l’inferno, l’immondezzaio, il fondo del pozzo!”. Non è che non vogliano uscire da questa situazione, è che non ne hanno piú la forza perché sono diventati schiavi di quella strada, di quel chilometro quadrato nel cuore di San Paolo».

Ci sono psicologi, assistenti sociali o altri operatori professionali nel suo gruppo?
«Raramente, anche se sono benvenuti. Però il numero di quanti si recuperano con il nostro metodo è alto perché facciamo il possibile per essere una famiglia e non una clinica. Un giorno, ad esempio, abbiamo accolto il figlio di un medico che ha una clinica di recupero. Visitando la nostra comunità il medico ha detto: “Io curo con le medicine circa venti tossicodipendenti e non riesco a tenerli. Voi ne accogliete piú di 200, tra cui mio figlio, e loro sono calmi. Qual è il vostro segreto?”».

Anche noi siamo curiosi. Qual è questo segreto?
«La spiritualità. La nostra terapia è la meditazione quotidiana del Vangelo. Credo molto nella preghiera, tanto è vero che dico Messa anche a Cracolandia. Dopo la Messa usciamo in processione, a mezzanotte, con Gesù eucaristico. In una recente processione, durante un’operazione di polizia chiamata sufoco («soffocare»), mi sono imbattuto nella macchina della polizia che aveva investito un fratello di strada. La gente era molto arrabbiata e volevano lanciare sassi contro la vettura. Abbiamo cercato di calmare gli animi, perché la violenza non risolve nulla. Non so il perché ma a un certo punto la polizia mi ha puntato addosso il fucile, mentre stavo portando il Santissimo. Dopo un momento di preghiera, ho iniziato a camminare, senza sapere che un fotografo mi accompagnava. Il giorno dopo ho visto la mia foto in prima pagina sul giornale di San Paolo (che è un po’ come il vostro Corriere della Sera)».

Qual è stata la reazione della gente di fronte all’operazione «sufoco»?
Rabbia e rivolta. Chi può mettersi contro un fucile puntato sul muso, indifeso? Loro sanno che stanno facendo cose sbagliate e che la droga non risolve nulla. Anche quelli che rubano lo sanno, e sanno anche ció che gli spetta. Sono tutti d’accordo: “O Dio attraverso la religione, o la prigione, o il cimitero”. Non c’è altra strada. Vivono arrabbiati con se stessi. E allora perché accrescere ancora sofferenza a quella che c’è già? L’operazione di polizia ha prodotto solo calci, ferite, aggressioni… Ma un abbraccio, una stretta di mano, un sorriso recuperano più di un fucile».

Lo Stato aiuta?
«Abbiamo proposto al governatore la costruzione di due punti sanitari nel centro città, diretti da uno psichiatra, con medici, assistenti sociali, psicologi assieme alla nostra Missione e con un gruppo che riceva i fratelli di strada dopo essere stati accolti e medicati. Il settore medico farà la sua parte e noi la nostra secondo il nostro stile familiare. Speriamo che il progetto si concretizzi».

Che consigli daresti ai nostri lettori?
«La mia vocazione missionaria è iniziata leggendo Mondo e Missione, diretta allora da padre Piero Gheddo che ha formato il mio pensiero. Quando ho scoperto che qui in Brasile c’era la stessa rivista in portoghese ne sono rimasto molto contento. Mundo e Missão è l’espressione della missionarietá della Chiesa in Brasile. Se non evangelizza il Paese più cattolico del mondo chi lo farà? Se non da questo Paese da dove partiranno i missionari di domani? Complimenti e continuate con coraggio e senza paura di nulla». 
Articolo tratto dalla rivista del Pime in Brasile Mundo e Missão.

Traduzione dal portoghese di padre P. Facci.

 

In gennaio l’operazione «sufoco»

Cracolandia sta per terra del crack, la celebre droga sintetica. È una zona del centro della città di San Paolo dove si incontrano centinaia di trafficanti e tossicodipendenti che qui si drogano anche alla luce del sole. Neanche la polizia riesce più ad entrare e la strada è ormai permanentemente occupata da questi spacciatori e consumatori di droghe. All’inizio di gennaio la polizia militare ha fatto un’irruzione in grande stile per fare piazza pulita, il che ha suscitato numerosi commenti sui giornali brasiliani. Padre Giampietro proprio in quella settimana stava promuovendo una Missione in quella zona. Praticamente è l´unico prete che riesce a entrare in questo sottomondo, a dire la Messa con questa gente, a fare la processione col Santissimo e a togliere dalla strada molte persone. Sembra che l´azione della polizia, denominata «sufoco» («soffocare») non fosse tanto dettata da interesse umanitario o sociale, quanto da interessi economici. Il centro della cittá è un’area in cui i terreni valgono molto e c’è un progetto edilizio (il cui valore è di svariati milioni) per costruire nuovi edifici residenziali di lusso in vista dei Mondiali di calcio del 2014.

Dal Veneto a Missão Belém

Giampietro Carraro è nato nel 1962 a Sandon di Fossò, in provincia di Venezia. Viene dall´esperienza della Comunità di Villaregia (Chioggia) e poi dall´Aliança de misericórdia (Alleanza di Misericordia), un’associazione missionaria di San Paolo che si occupa dei poveri. Ha avvertito però una chiamata speciale a identificarsi più radicalmente con i poveri di strada. Così – nell’ottobre 2005, con la benedizione del cardinale arcivescovo di San Paolo di allora dom Claudio Humes – ha iniziato una nuova esperienza chiamata Missão Belém, che il 16 giugno 2010 ha ricevuto anche ufficialmente l´approvazione diocesana del cardinale dom Odilo Scherer. La Missione ha 70 consacrati e consacrate con voti, e 200 membri volontari, oltre a 7.000 amici e collaboratori presenti in 4 Paesi e in 70 città. Accolgono nelle loro case piú di 1.400 persone. Missão Belém ha una sua casa anche in Italia a Fossò, da dove propone iniziative per la gente di strada. z Per informazioni www.missionebelem.com