Dalla Thailandia a Roma, nell’anniversario della Nostra Aetate
Una delegazione di ben 104 thailandesi cattolici e buddhisti si è recata in Vaticano e ha incontrato Papa Leone XIV. Con loro anche padre Daniele Mazza, vicario generale del Pime e grande esperto di buddhismo. Ecco la sua testimonianza sulla possibilità che religioni diverse camminino insieme nella speranza
Lo scorso 28 e 29 ottobre, in Vaticano, si è celebrato il 60º anniversario di Nostra Aetate, la Dichiarazione del Concilio Vaticano II che ha inaugurato un nuovo modo di guardare alle religioni non cristiane e di relazionarsi con i loro credenti.
Un testo breve, ma rivoluzionario, che in poche pagine ha trasformato lo sguardo e la postura della Chiesa, aprendola a un dialogo fondato sulla fiducia e sul riconoscimento del bene presente in ogni ricerca di Dio. Nel secondo paragrafo si legge infatti: «La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». (Nostra Aetate, 2)
Con queste parole, il Concilio apriva una strada nuova, che ha permesso alla Chiesa di percorrere la via dell’amicizia, del rispetto e della cooperazione con i credenti di altre tradizioni, riconoscendo che ogni incontro autentico è un passo verso la verità che unisce.
Un anniversario vissuto con la Chiesa universale
La sera del 28 ottobre, in Aula Paolo VI, si è tenuto un intenso momento di riflessione e preghiera silenziosa comune, mentre il giorno seguente, in Piazza San Pietro, Papa Leone XIV ha dedicato la sua udienza generale al tema del dialogo interreligioso. Davanti a migliaia di rappresentanti religiosi provenienti da ogni parte del mondo, il Papa ha pronunciato parole che restano nel cuore: «Sessant’anni fa – ha detto Papa Leone – venne piantato un seme di speranza per il dialogo interreligioso. Oggi la vostra presenza testimonia che questo seme è cresciuto in un albero maestoso, i cui rami si estendono ampiamente, offrendo rifugio e producendo ricchi frutti di comprensione reciproca, amicizia, cooperazione e pace».
L’albero di cui ha parlato il Papa, è fiorito visibilmente anche in Thailandia. In questo Paese, infatti, il dialogo tra cattolici e buddhisti è diventato un segno concreto di quanto la fiducia e la collaborazione possano trasformarsi in amicizia profonda. Ne è stata testimonianza la numerosa delegazione thailandese presente a Roma per l’anniversario: un gruppo di 104 persone, composto da dieci rappresentanti cattolici della Conferenza episcopale thailandese, guidati dall’arcivescovo di Bangkok Francis Xavier Vira Arpondratana, insieme a monaci e laici buddhisti del tempio reale Wat Pho (Wat Phra Chetuphon) della capitale, tra cui anche delegati del ministero dell’Educazione.
La loro partecipazione è il frutto maturo di un cammino condiviso. Negli ultimi dieci anni, infatti, il dialogo tra la Chiesa cattolica e il Buddhismo Theravāda in Thailandia ha conosciuto un forte sviluppo: dalle visite di delegazioni monastiche in Vaticano agli incontri del dicastero per il Dialogo interreligioso nei grandi templi di Bangkok, fino alla visita di Papa Francesco nel 2019, che ha lasciato nei cuori una profonda traccia di fraternità.
Un dialogo che si fa cultura
Nel 2024, presso la facoltà di Buddhismo della Mahachulalongkorn University, è stato introdotto per la prima volta un corso accademico di “Interreligious Dialogue” e, ultimamente, le classi del corso di master e dottorato, composte da monaci e monache provenienti da diversi Paesi asiatici, durante una visita ai tempi di Ayutthaya, antica capitale del regno del Siam, hanno fatto tappa anche presso la Chiesa di San Giuseppe, il primo centro della cristianità in Thailandia, incontrando il parroco e ascoltando la storia della presenza cristiana nel Paese.
Esperienze di dialogo monastico
Un segno particolarmente bello è venuto dal Dialogo inter monastico, organismo internazionale che promuove l’incontro tra monaci e monache cristiani e credenti di altre tradizioni. Negli ultimi mesi, sette religiosi e religiose cristiani hanno vissuto in Thailandia un’esperienza di meditazione e vita monastica accanto ai monaci buddhisti. In quello stesso spirito di apertura, tre monaci dell’Università Mahachulalongkorn hanno partecipato, lo scorso giugno, a un seminario sulla meditazione presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma, vivendo in monasteri cristiani a Roma e a Bose. Uno di loro confidava con stupore: «Non avrei mai immaginato, in tutta la mia vita, di essere ospitato in un monastero cristiano. Questa esperienza mi ha aperto la mente e il cuore».
Gesti di stima e compassione
Alla morte di Papa Francesco, due tra i più significativi monasteri della Thailandia, il tempio reale di Wat Pho e il tempio Wat Leng Noei Yi di Nonthaburi (dove vivono monaci della tradizione Mahayana cinese), hanno voluto onorarlo con una cerimonia di preghiera e il canto delle sutre. In quel momento di raccoglimento, si è espresso il sentimento profondo di vicinanza e di affetto che molti monaci nutrivano per un uomo di fede capace di costruire ponti, di dialogare con tutti e di riconoscere la luce del divino presente in ogni cammino spirituale.
Nuovi orizzonti del dialogo in Asia
Inoltre, la presenza di monaci laotiani nell’Università Buddhista thailandese ha recentemente riaperto, dopo decenni, il contatto tra i buddisti e i cristiani in Laos. Dopo la morte del Venerabile Phra Ajan Yai Phramaha Bounma Simmaphom, presidente dell’Organizzazione Buddista Centrale del Laos (Cbfo), una delegazione di sacerdoti e laici cristiani ha portato personalmente le condoglianze della comunità cristiana, partecipando poi al funerale di Stato a Vientiane. Un piccolo segno, ma importante, di una fraternità che desidera ricucire e ravvivare rapporti dimenticati da troppo tempo.
Incontro tra Thailandia e Mongolia
A margine delle celebrazioni romane, ho avuto l’occasione di accompagnare il Venerabile Phramaha Thirachan, abate del tempio Wat Pho e membro del Consiglio Supremo del Sangha Thailandese, a un incontro fraterno con Sua Eminenza Javzandorj Dulamragchaa, leader spirituale del Buddhismo mongolo e abate del monastero Gandantegchinlen di Ulaanbaatar, insieme al cardinale Giorgio Marengo, Prefetto apostolico della Mongolia.
Da quel dialogo, semplice e cordiale, è maturato il desiderio di organizzare in Mongolia, nel 2026, un grande incontro interreligioso. L’abate del Wat Pho è stato invitato a prendervi parte come segno di comunione tra le tradizioni buddhiste dei due Paesi, in un gesto che intende rafforzare i legami spirituali già esistenti. È un nuovo germoglio di quell’albero di speranza piantato sessant’anni fa da Nostra Aetate, che continua a dare frutti di fraternità oltre ogni confine.
Il messaggio del Papa: il dialogo come cammino del cuore
Nel suo discorso in Aula Paolo VI, Papa Leone XIV ha ricordato che «Il dialogo non è una tattica o uno strumento, ma un modo di vivere, un cammino del cuore che trasforma tutti i suoi protagonisti. Non nasce dal compromesso, ma dalla convinzione, dalle radici profonde della nostra fede che ci danno la forza di tendere la mano agli altri con amore». E, nell’udienza in piazza San Pietro ha aggiunto: «Trasmettiamo questo spirito di amicizia e collaborazione anche alla generazione futura, perché è il vero pilastro del dialogo».
Parole che suonano come un mandato per tutti noi: educare le giovani generazioni a costruire ponti anziché muri, a scegliere l’incontro invece della diffidenza, a collaborare per il bene comune invece di chiudersi nei propri confini o nei soli interessi del proprio gruppo.
Camminare insieme nella speranza
Sessant’anni dopo Nostra Aetate, questo anniversario ci ricorda che il dialogo interreligioso non è un capitolo della diplomazia ecclesiale, ma una dimensione essenziale della missione della Chiesa.
Come ha detto il Papa: «Questo non è l’impegno di una sola religione, di una sola nazione o di una sola generazione. È un compito sacro per tutta l’umanità: mantenere viva la speranza, mantenere vivo il dialogo e mantenere vivo l’amore nel cuore del mondo».
Per noi cristiani, questo cammino non significa rinunciare alla propria fede, ma lasciarla crescere nell’incontro: condividere con semplicità e umiltà la bellezza della vita in Cristo e, allo stesso tempo, lasciarsi toccare con stupore da ciò che lo Spirito compie nei cuori di tutti.
Nel dialogo autentico, infatti, la grazia di Dio prende forma nell’incontro, la verità di Cristo si illumina nella relazione, e la fede diventa comunione vissuta.
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