Il mio Afghanistan ancora senza pace

Il mio Afghanistan ancora senza pace

All’indomani del nuovo attentato all’Università di Kabul la denuncia del giovane esule afghano Walimohammad Atai: «Negli ultimi due mesi almeno 461 civili sono rimasti uccisi e oltre 600 feriti. I talebani liberati nel processo di pace avviato a Doha sono tornati a combattere. E il Pakistan li sostiene per contrastare i possibili buoni rapporti tra l’Afghanistan e l’India»

 

Proprio mentre in queste ore l’Europa tornava a fare i conti con il terrore islamista una nuova gravissima strage colpiva anche l’Università di Kabul, in Afghanistan, Paese che dopo esser stato sotto i riflettori del mondo dopo l’11 settembre 2001 oggi è oggetto di ben poca attenzione da parte dei media. Perché queste nuove stragi proprio adesso che – sotto la regia di Washington, interessata a riportare a casa le proprie truppe – a Doha erano cominciati i negoziati tra il governo di Kabul e i talebani? Abbiamo chiesto di spiegarcelo a Walimohammad Atai, giovane afghano esule in Italia, dove come mediatore culturale è oggi attivo nel dialogo e nella promozione dei diritti umani. Alla sua storia e a quella recente del suo Paese Atai ha dedicato un libro intitolato «Il martire mancato. Come sono uscito dall’inferno del fanatismo»

 

L’altro giorno a Kabul almeno 24 studenti e studentesse sono stati uccisi e più di 38 sono stati feriti gravemente in un assalto da parte dei tre terroristi  all’università di Kabul. Le forze speciali afghane sono intervenute e dopo 6 ore di scontri sono riuscite a prendere il controllo dell’università, uno dei tre terroristi si è fatto esplodere all’interno dell’università al grido di “ Allahu Akbar” e gli altri due sono stati uccisi dalle forze di sicurezza. Non è la prima volta che le università, le scuole e i centri culturali del Paese finiscono nelle mire dei talebani: la scorsa settimana 27 persone, anche in quel caso in maggioranza studenti, erano state uccise in un attacco kamikaze nel distretto occidentale di Kabul.

L’Afghanistan è ancora avvolto dalla guerra, il processo di pace iniziato il 12 settembre a Doha è fermo. I talebani e il governo afgano ancora non trovano un accordo. Tre delegati afghani hanno lasciato Doha, come risposta agli ultimi atteggiamenti fondamentalisti dei talebani. E l’inviato Usa Zalmay Khalilzad viaggia fra l’Afghanistan e il Pakistan, mentre il futuro del Paese è incerto, il presente si fa sempre peggiore e gli attacchi si susseguono e a continuare a morire sono sempre i civili. Negli ultimi due mesi gli attacchi si sono moltiplicati in tutto il Paese, almeno 461 civili sono rimasti uccisi e 602 feriti. Gli scontri fra i talebani e il governo afgano vanno avanti ferocemente nelle provincie di Helmand, Kunduz, Nangarhar e Badakhshan. Oltre 30 mila civili sono fuggiti dai combattimenti nella provincia di Helmand. Il governo afghano credendo nella pace, ha liberato seimila combattenti taleban; in cambio i talebani avrebbero dovuto interrompere i loro attacchi, ma la riduzione non c’è stata e ora i talebani negano di aver promesso al governo afghano la riduzione degli scontri. Tutti i talebani rilasciati sono andati in Pakistan per armarsi e ritornare a combattere in prima linea contro il governo afghano.

Perché non arriva la pace? Il Pakistan è stato il principale sostenitore dei talebani durante la guerra civile afghana degli anni Novanta. È stato uno dei tre soli Paesi ad aver riconosciuto il governo dei talebani dal 1996 al 2001.
Il Pakistan pone condizioni e richieste per la pace, vuole che ai talebani sia garantita una presenza significativa nel futuro governo di Kabul, così i talebani aiutano Islamabad a non lasciare che l’India si espanda e stabilisca buoni rapporti con l’Afghanistan.

Il Pakistan – attraverso Gulbuddin Hekmatyar – vuole anche il pieno controllo dell’Afghanistan e che i talebani (di cui si fida) seguano Hekmatyar. Le sue forze hanno commesso atrocità che in altre parti del mondo sono oggetto di mandati d’arresto internazionali e di accuse per crimini di guerra e crimini contro l’umanità. Invece in Afghanistan grazie ai servizi segreti del Pakistan, si può candidare persino alle elezioni presidenziali e vivere tranquillamente. Le milizie di Hekmatyar hanno ucciso decine di migliaia di persone, hanno rapito, torturato, stuprato e ucciso innumerevoli civili in modi così raccapriccianti che molti afghani – specialmente i residenti di Kabul – si rifiutano ancora oggi di pronunciare il nome di Hekmatyar.

Il responsabile del processo di pace afghano – Abdullah Abdullah – ha appena concluso una visita in Pakistan. Le autorità pakistane in sostanza gli hanno detto: i talebani avranno presto la possibilità di impadronirsi del potere totale con la forza, anxiché cercare di ottenere un potere parziale con i negoziati. Il Pakistan cerca di far riconoscere dal governo afghano il confine di 2.600 chilometri tra i due Paesi e se tutte le sue richieste non vengono accettate, il processo di pace si ferma. Per questo i talebani stanno aumentano i loro attacchi, come sta accadendo.

Nella foto in alto: i volti di alcune delle vittime della strage dell’altro giorno all’Università di Kabul