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Icona decorativaIcona decorativa5 Febbraio 2018 Stefano Vecchia

L’ultima crisi della democrazia a Timor Est

Sciolto il Parlamento e indette elezioni anticipate a Dili. Nonostante le necessità concrete della minuscola nazione in maggioranza cattolica e dalla forte impronta lusitana, le pressioni internazionali e gli appelli dei leader sociali e ecclesiali
  Soverchiato dall’instabilità politica, il 26 gennaio il presidente timorese Francisco “Lu Olo” Guterres ha sciolto il Parlamento di Dili e chiesto nuove elezioni anticipate. Non ancora confermate nella data, potrebbero concretizzarsi entro aprile, salvo colpi di scena. Una chiamata alle urne che ha sorpreso, nonostante fosse chiaro che l’incarico presidenziale avviato solo lo scorso maggio non era bastato a fare del presidente – ultimo di una serie ormai in ampio disarmo di personalità eredi del movimento indipendentista anti-indonesiano attivo dal 1975 al 1999 – l’elemento di stabilità da molti atteso nella turbolenta politica di Timor Est, giovane Paese di 1,3 milioni di abitanti che non riesce a voltare pagina davvero. Un ostacolo, sicuramente, il ruolo ineludibile del Fretilin, ex movimento guerrigliero poco disposto al dialogo e alla condivisione del potere. Il premier Mari Alkatiri, che in passato aveva dichiarato che la stabilità del Paese avrebbe richiesto il controllo del Fretilin per un cinquantennio e che “la democrazia si gioca nel comitato centrale del partito, non nell’aula parlamentare” si è mosso negli ultimi tempi per evitare che una mozione di sfiducia verso il suo esecutivo di minoranza venisse discussa in Parlamento, impedendo così che l’opposizione bocciasse apertamente il suo programma e il suo bilancio entro i termini legali per l’approvazione. Alkatiri ha così mostrato di essere pronto a tutto pur di mantenere un ruolo-chiave nel Paese e avviato una nuova una crisi della democrazie timorese che né le necessità concrete della minuscola nazione in maggioranza cattolica e dalla forte impronta lusitana, né le pressioni internazionali, né, infine, gli appelli dei leader sociali e ecclesiali hanno saputo contenere. Le elezioni dello scorso luglio, successive alle presidenziali di marzo, avevano sostanzialmente affidato la guida del Paese al Congresso nazionale per la ricostruzione timorese (partito di riferimento nel precedente governo) e al Fretilin, ma con un chiaro mandato al rinnovamento, soprattutto delle leadership politiche. Invece, con una mossa concessa dalla possibilità costituzionale di designare come premier la guida del partito che ha avuto il maggior numero di voti, “Lu-Olo” ha affidato l’incarico a Alkatiri, che lo aveva ricoperto già dal 2002 al 2006, scavalcando il più giovane Rui Araujio, esponente del suo partito a cui andavano le preferenze dei gruppi alleati. Il rimescolamento avvenuto nell’alleanza di governo e in quella d’opposizione, con la nascita di una nuova maggioranza parlamentare ostile a Alkatiri, ne ha poi messo in discussione la legittimità di governo. Dopo una prima sfiducia a ottobre, Alkatiri ha rifiutato la chiamata alle dimissioni e ha risposto con il sostanziale blocco dei lavori parlamentari a novembre e dicembre per evitare che la maggioranza attuale, che detiene 35 seggi su 60 nell’aula, potesse ufficialmente delegittimare il suo governo e relegare il premier nella folta confraternita dei “relitti” della politica timorese. Il 22 gennaio Alkatiri ha “gettato la spugna” formalmente, spingendo il il capo dello Stato – un suo alleato, e addirittura presidente in carica del Fretilin – a sciogliere il Parlamento chiamando i timoresi a un voto rischioso per il partito, dato per perdente, ma anche per il Paese. La futura consultazione elettorale, infatti, non solo potrebbe aprire a nuovi scenari di tensione in una nazione arretrata e frammentata, ma non restituirà stabilità se prima non saranno risolte le divergenze interne al Fretilin tra la “vecchia guardia”, in buona parte esule all’estero durante il dominio indonesiano, e una nuova generazione più in sintonia con la realtà locale.  

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