A Betlemme dove si dona la parola
Da quasi 50 anni suor Ginetta Aldegheri si prende cura dei bambini palestinesi non udenti all’Istituto Effetà voluto da Papa Paolo VI: «il miracolo più grande non è tanto che parlino, ma che si sentano amati»
La prima volta che suor Ginetta Aldegheri mise piede all’Istituto Effetà di Betlemme era una serata buia e fredda del novembre 1976. «Sono entrata nel cortile con la macchina, non c’erano lampioni e sento delle voci salutare e dire “Ciao amore!”», racconta ridendo. «Tutta la gradinata dell’ingresso era piena di bambini, però mi avevano detto che erano non udenti, com’era possibile che parlassero? Poi ho capito: qui i bambini arrivano alla comunicazione anche quando hanno forti limitazioni».
All’Istituto Effetà per la rieducazione fonetica, a pochi minuti dalla Grotta della Natività, da oltre cinquant’anni le Suore Maestre di Santa Dorotea insegnano ai bambini palestinesi con sordità a parlare senza l’uso del linguaggio dei segni. Ma le religiose insegnano, soprattutto, a sentirsi «uguali a tutte le persone normali».
La scuola venne fondata nel 1971 per volontà di Papa Paolo VI, che durante la sua visita in Terra Santa nel 1964 aveva notato l’assenza di strutture educative per bambini sordi nei territori palestinesi. L’opera nasce con la missione di «aprire le orecchie e la parola» dei piccoli con deficit uditivi, restituendo loro autonomia e dignità, e favorendone l’inserimento sociale. Sorta come semplice scuola elementare, oggi è un centro educativo completo, con percorsi che vanno dalla materna fino al liceo ed è l’unica struttura in Palestina che adotta il metodo audio-fono-verbale al posto della lingua dei segni: «Paolo VI, che ha voluto questa scuola, aveva intuito che la parola è libertà», dice la religiosa, che con il tempo ha imparato a conoscere le cure adatte alle persone audiolese.
«Quando sono arrivata, 50 anni fa, non avevamo nulla», ricorda suor Ginetta, originaria della provincia di Verona. Al tempo si usavano la logopedia individuale e la lettura labiale, fondamentale ancora oggi. Poi sono arrivate le varie innovazioni tecnologiche, protesi digitali, impianti cocleari: «Il metodo che utilizziamo qui è più faticoso, richiede sacrificio ai ragazzi, ma vale la pena, perché si recupera la persona. Il sordo rischia di essere messo in un angolo e di restare emarginato o di diventare aggressivo senza averne colpa. Noi cerchiamo di aprire i nostri studenti alla vita. Ed è questo il miracolo più grande: non tanto che parlino, ma che si sentano amati».
Gli studenti sono i primi a riconoscere l’importanza di aver frequentato l’Istituto Effetà: «Abbiamo ex alunni che sono diventati insegnanti, artisti, infermieri. Uno è impiegato in una clinica in Israele, un’altra ragazza sorda lavora qui tra le nostre maestre. Ci dicono che siamo state esigenti, è vero, ma ci ringraziano perché ora sono capaci di gestire la famiglia e il lavoro. Una ragazza – continua commossa suor Ginetta – se Dio vuole, diventerà medico. Non sente tutto, ma legge le labbra in modo eccezionale». Questa giovane donna, dice la religiosa, «è il simbolo di tutto quello che abbiamo vissuto in questi cinquant’anni. È la dimostrazione che anche chi nasce nel silenzio può diventare parola per gli altri».
Per arrivare a questi risultati, il segreto è uno solo: «Serve la passione del cuore. Se non si ha quella, non si riesce a volere bene a nessuno. Le persone non udenti hanno bisogno di un’attenzione diversa: ascolto, comprensione, rispetto. Hanno la voce un po’ strana, a volte disturbano, ma non è colpa loro».
Suor Ginetta, che con tanti anni di insegnamento alle spalle da quest’anno si occupa di coordinare le attività educative, ha vissuto tutte le crisi del conflitto israelo-palestinese in Terra Santa, comprese le violenze legate alle due Intifada, ma niente è paragonabile alle recenti restrizioni ai movimenti che sono state imposte in Cisgiordania.
«Quest’anno abbiamo 180 alunni, una decina in meno rispetto a due anni fa – racconta -. Molti non riescono più a venire per via dei check-point, dei costi del trasporto e delle frontiere sempre più rigide. Cinque o sei si sono ritirati proprio per le difficoltà a raggiungere l’istituto». I posti di blocco sono aumentati in seguito all’attacco del 7 ottobre 2023 da parte di Hamas. Un rapporto pubblicato all’inizio dell’anno dall’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha contato 849 «ostacoli al movimento» in tutti i Territori occupati. Eppure, chi può, torna: «Uno studente che era rimasto a casa tutto l’anno scorso ha ripreso le lezioni a settembre. Ci ha detto che non capiva niente fuori dalla scuola». E le suore, tre in tutto, hanno anche adattato l’orario scolastico per permettere a tutti di partecipare. «Non ci vogliamo abituare al conflitto, ma ci dobbiamo adattare alla guerra – sottolinea suor Ginetta – perché dobbiamo dare ai bambini la possibilità di venire a scuola, anche se tutto è molto più complicato».
Da quest’anno sono stati introdotti corsi di musicoterapia: «Aiuta a scaricare la tensione che i bambini vivono anche in famiglia. E funziona: ridono, si divertono, si rilassano. È un’ora alla settimana, ma è diventata preziosa. Si vive di speranza qui». Mentre, durante le preghiere serali, le bambine che restano a dormire nell’Istituto aggiungono sempre un’invocazione per la pace: «Facciamo una preghiera ecumenica, perché gli studenti sono tutti musulmani tranne uno cristiano. Quando diciamo “Signore, donaci la tua pace”, le bambine gridano. Gridano davvero, perché hanno capito che questa non è una vita normale. E sono sempre le bambine a dirci: “Basta con questo odio”. Noi possiamo solo provare a ridurre nel loro cuore la rabbia e la paura, ma i bambini riescono meglio di noi a fare la pace».
Nonostante la cessazione dei combattimenti e gli sforzi per la pace nella Striscia di Gaza, a Betlemme quasi nulla è cambiato. L’economia della città, che per il 70% ruota intorno al turismo, continua a segnare un importante declino. Diversi venditori cristiani raccontano di avere figli all’estero o chiedono ai pochissimi visitatori stranieri come fare per mandarli via dalla Palestina. «Il Signore ha detto: “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace”. Non è la pace che pensavo io, ma è la Sua. Non si parla mai di politica qui all’Istituto ma è evidente che le persone sono stanche, nessuno sta bene con la violenza», commenta suor Ginetta.
Nella città dove nacque il Signore, nonostante le ferite della guerra, l’Istituto continua a pronunciare la Parola ogni giorno. È la stessa parola che Gesù rivolse al sordomuto: «Effetà» (Mc 7,34), che significa «Apriti!». Da cinquant’anni è la più semplice e ostinata forma di pace.
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