Goldman Prize: ecco gli attivisti che rischiano la vita per l’ambiente

Goldman Prize: ecco gli attivisti che rischiano la vita per l’ambiente

Cinque donne e un uomo sono i vincitori del Goldman Environmental Prize 2018 che ogni anno viene assegnato a chi lotta per l’ambiente e diritti dei territori. Un premio prestigiosissimo per ottenere il quale si rischia anche la vita come dimostrano alcuni vincitori delle scorse edizioni

 

Quest’anno tutte le storie premiate hanno un lieto fine, eppure il Goldman Prize non riesce a cancellare l’aura nera che lo avvolge. Il riconoscimento ambientale più prestigioso al mondo – assegnato lunedì a cinque donne e un uomo che difendono i diritti del territorio nel proprio continente – espone a una grande visibilità ma anche a potenziali attacchi purtroppo ancora all’ordine del giorno per gli attivisti a favore dell’ambiente.

Berta Caceres – che ha vinto il Goldman Prize nel 2015 – ne è un tragico esempio: l’attivista per i diritti degli indios e contro la diga in Honduras è stata infatti uccisa pochi mesi dopo aver ritirato l’onorificenza. Dieci mesi dopo di lei, l’attivista messicano Isidro Baldenegro Lopez, vincitore del Goldman nel 2005 per la sua lotta contro il disboscamento illegale nella foresta della Sierra Madre, è stato assassinato nel suo villaggio natale; mentre qualche settimana fa Rodrigue Katembo, vincitore dello scorso anno nonché guardia del parco a tutela della fauna selvatica nella Repubblica Democratica del Congo, ha assistito al massacro di sei colleghi ordito da bracconieri e industriali del carbone.

Anche quest’anno i vincitori non fanno eccezione e dimostrano di conoscere i rischi a cui vanno incontro. La premiata per l’America Latina, Francia Marquez ha già subito molte minacce di morte ed è stata costretta a trasferirsi da casa per motivi di sicurezza. «Riceviamo di continuo minacce di morte da milizie, leader, organizzazioni e comunità – ha spiegato al GuardianProteggere l’ambiente e la terra porteranno sempre a una disputa tra coloro che vogliono vivere il territorio e chi vuole farci soldi». La trentacinquenne leader della comunità afro-colombiana è stata premiata per essersi messa alla guida di una marcia di donne che in 10 giorni hanno percorso 350 miglia dall’Amazzonia a Bogotà per protestare contro i minatori d’oro illegali che inquinavano con cianuro e mercurio il fiume Ovejas, fonte di approvvigionamento per la comunità afro che abita nella regione del Cauca. La loro iniziativa ha funzionato e il governo ha allontanato da La Toma, nel sud ovest della Colombia, le attrezzature nonché gli addetti all’estrazione abusiva.

Ma Marquez non è sola e mai come quest’anno il riconoscimento si è tinto di rosa. Per la difesa degli oceani e della vita marina ha ottenuto il premio la francese Claire Nouvian che ha combattuto soprattutto contro la pesca a strascico. Facendo pressioni sulla flotta legata alla catena di supermercati Intermarché, Nouvian è riuscita a ottenere un divieto a livello europeo per questo tipo di pratica. La statunitense LeeAnne Walters ha invece guidato un movimento per migliorare l’acqua del rubinetto di Flint, nel Michigan. Dall’inizio dell’Ottocento, in questa zona si sono infatti installati stabilimenti industriali le cui emissioni hanno lentamente inquinato le acque del fiume locale, tanto che intorno al 1960 la città ha iniziato a comprare acqua pulita da Detroit. Nel 2014, però, a fronte della crisi delle casse comunali, gli amministratori hanno deciso di riprendere a usare quel fiume come fonte d’approvvigionamento idrico per la città. Walters – dopo aver visto ammalarsi i suoi due bimbi – ha lanciato una campagna per il campionamento dell’acqua del rubinetto e ha ottenuto che le acque del paese non provenissero più dal fiume inquinato.

La premiata dell’Asia viene dal Vietnam: Khanh Nguy Thi ha lavorato con i funzionari statali per sostenere la ricerca e trovare nuove energie sostenibili per il Paese il cui fabbisogno di elettricità cresce a ritmi elevatissimi e che oggi viene soddisfatto soprattutto con il carbone. Evidenziando i costi e l’impatto ambientale del combustibile fossile, responsabile del 40% delle emissioni globali di gas serra, Khanh Nguy Thi – originaria di un villaggio nei pressi di una centrale a carbone dal quale ha potuto constatare in prima persona gli effetti del carbone sulla salute delle persone – ha raccolto dati e messo a punto un piano per ridurre la dipendenza dal carbone del Vietnam che entro il 2030 ha previsto l’uso di energia eolica e solare per almeno il 21% dell’intero fabbisogno energetico nazionale.

Per l’Africa, infine, le donne sono persino due: Makoma Lekalakala e Liz McDaid, che hanno lavorato in coppia per portare alla luce e fermare l’accordo segreto siglato tra il governo sudafricano con la Russia per implementare la produzione di energia nucleare sul territorio. Le due hanno infatti portato l’Alta Corte del Paese a definire quel progetto incostituzionale, proteggendo così la nazione dall’aumento dell’industria nucleare e delle scorie radioattive.

Unico uomo tra i premiati è il filippino Manny Calonzo meritevole di aver convinto il governo a emanare un divieto nazionale sulla produzione, l’uso e la vendita di vernici al piombo che sono velenose e pericolose per la salute. Calonzo ha poi inventato e seguito un programma di certificazione per garantire che tutti i produttori soddisfacessero gli standard previsti dalla legge e grazie al suo lavoro nel 2017 l’85 per cento delle vernici filippine erano state riconosciute come senza piombo.

«Questo premio è un riconoscimento della lotta collettiva di tutti i popoli del mondo che si prendono cura dell’ambiente – ha detto a nome dei premiati Francia Marquez – ma anche di tutti i leader che sono stati uccisi per il fatto di essersi presi cura della nostra casa comune».