La fede che salva uomini e Creato

La fede che salva uomini e Creato

EDITORIALE
Le parole di Neth, davanti al suo oceano di foresta: ««Padre, sono cristiano e sono pronto a morire per questa causa»

 

Neth è di etnia phnong ed è nato sulle montagne di Mondulkiry nel Nord-ovest della Cambogia al confine col Vietnam. Quando da studente frequentava il gruppo giovani della parrocchia di Phnom Penh diceva sempre: «Ragazzi, lo sapete che vengo dalla foresta?». Un giorno mi porta orgoglioso in cima a una montagna per mostrarmi quello che la sua tribù chiama l’“oceano di foresta”. Guardavo verso la vallata immensa ricoperta di vegetazione a perdita d’occhio. I phnong sono sempre vissuti in simbiosi con la foresta, mettendo in atto quanto Papa Francesco ci ricorda nella Laudato Si’ al numero 67 richiamando Genesi 2,15, dove l’uomo è invitato da Dio a coltivare e custodire la terra.

I phnong vivevano questo principio biblico ancora prima di convertirsi al cattolicesimo, come qualcosa di profondamente innato nella loro natura, la natura dell’uomo. La foresta era il loro luogo di vita, la Madre che dava sostentamento e che loro accudivano lavorando la terra e custodendola. Non hanno mai avuto bisogno di titoli di proprietà perché, diceva Neth, la terra appartiene a chi la lavora, nel rispetto della montagna e della sua foresta.

Lui è l’unico istruito della sua tribù: liceo e scuola professionale informatica, grazie all’aiuto della Chiesa cattolica, poi il lavoro e, con grande determinazione, una laurea in antropologia a Phnom Penh. «Perché continui a studiare? – gli chiedevo -. Ormai hai un lavoro ed è tempo che ti faccia una famiglia». Lui rispondeva: «Padre, se io non studio  chi difenderà i diritti del mio popolo e della mia terra?»

Le grandi compagnie della gomma sono arrivate dall’Europa con concessioni governative; hanno cominciato a tagliare la foresta e a impossessarsi della terra dei suoi parenti e amici, che non hanno titoli di proprietà da mostrare. Neth non si è perso d’animo; ha organizzato un’associazione tra i vari villaggi della sua tribù e ha dato loro voce. Gli dico: «Neth, stai attento, potresti dare fastidio e rischiare grosso». Lo sa, ma non molla. Gli consiglio di interpellare l’Onu e altre organizzazioni non governative che possano difenderlo e aiutarlo. Il suo lavoro prosegue imperterrito. Un po’ alla volta cominciano a chiamarlo anche all’estero per tenere conferenze sul tema del land grabbing e della difesa delle minoranze. Ormai è uscito dalla foresta, parla inglese e francese correntemente, ma il suo cuore resta sempre lì.

Un giorno prendo il giornale e trovo in prima pagina la notizia dell’uccisione di un cambogiano nel Sud del Paese dove era impegnato contro la deforestazione illegale. Chiamo Neth allarmato, gli dico di fare attenzione. E lui candidamente mi risponde: «Padre, sono cristiano e sono pronto a morire per questa causa». Ci vuole una fede così, pura, cristallina e semplice per vincere la paura di sfidare chi viola il Creato e sfrutta le persone. La fede di Neth non fa rivoluzioni, non ha bisogno di armi, ma cambia il mondo con l’amore che ha imparato da Gesù.