Non c’è nessun’altra terra dove andare

Il documentario “No Other Land”, scritto e diretto da due palestinesi e due israeliani, racconta le vicende di un villaggio della Cisgiordania e della lotta della popolazione palestinese per salvare le loro case e la loro terra. Un tema di grande e drammatica attualità. Candidato all’Oscar come miglior documentario è nelle sale italiane dal 16 gennaio
Basel Adra ha 28 anni. Ha studiato Legge e potrebbe fare l’avvocato, ma la situazione economica del suo villaggio gli offre ben poco, al massimo qualche lavoretto da muratore o da manovale. Nel 2019, Basel si è procurato una videocamera per poter testimoniare che cosa accade ogni giorno a Masafer Yatta, al confine meridionale della Cisgiordania, una terra abitata da famiglie palestinesi di pastori e contadini almeno dal 1830. Cinque anni fa, il giornalista Yuval Abraham, coetaneo di Basel, e la regista Rachel Szor, entrambi israeliani, sono venuti a Masafer Yatta per raccontare i tentativi israeliani di cacciare i residenti palestinesi. I tre, insieme al fotografo e regista palestinese Hamdan Ballal, hanno ideato, scritto e diretto il film documentario “No Other Land”, che ha fatto incetta di riconoscimenti, tra cui Miglior documentario alla 74esima edizione del Festival del cinema a Berlino e Miglior documentario europeo agli European Film Awards. Dal 16 gennaio prossimo, il film sarà nelle sale italiane.
Sono anni che sentiamo parlare di sgomberi forzati di villaggi palestinesi in Cisgiordania. Anni che giornali e siti raccontano di insediamenti abusivi di coloni che, con la violenza e con l’appoggio dell’esercito, cercano di strappare con la forza le terre ai palestinesi, demolire le loro abitazioni, costringerli a fuggire verso qualche periferia urbana, aumentando le fila dei disperati. Gli accordi di Oslo, nel 1993 e nel 1995, avevano fatto sperare in una possibile soluzione del problema palestinese, ma il progetto dei due stati – Israele e Palestina – non è mai davvero andato in porto e il territorio palestinese ha continuato a essere sottratto, pezzo per pezzo, ai suoi abitanti. Questa situazione che si trascina da fin troppo tempo ha creato una sorta di assuefazione nell’opinione pubblica internazionale. Donne, anziani e bambini buttati fuori dalle loro case e villaggi distrutti non fanno più notizia.
Questo documentario ha il merito enorme di mostrare con efficacia che cosa significa vivere in un perenne stato di assedio, raccontando le vicende della gente di Masafer Yatta dal 2019 al 2023. Si impara a conoscere i loro nomi, a leggere sui volti la rabbia e la disperazione davanti ai bulldozer dei militari israeliani che riducono le loro misere case in un ammasso di macerie. O ancora, si vede la rassegnazione di chi si è visto requisire senza motivo dai militari l’unica auto o distruggere il pollaio o la piccionaia, fonti di misero reddito. Storie di ordinari soprusi. «Si vive alla giornata, senza sapere cosa succederà domani. Non sai se la tua casa sarà demolita», racconta un abitante. È anche una guerra psicologica, che punta a esasperare e sfinire le persone.
Nel film, lo sguardo è quello dei due protagonisti, Basel e Yuval che, dopo essersi conosciuti, sono diventati amici. Il giornalista ebreo dice di aver cambiato le sue idee politiche dopo aver studiato l’arabo. Imparare la lingua dell’altro è un modo per avvicinarlo, tendergli una mano. Yuval è accolto dalla famiglia di Basel ed è spesso ospite a casa loro. Vediamo i due ragazzi protestare insieme contro gli sgomberi, rischiare l’arresto e le percosse, sfuggire alle pallottole dei soldati israeliani che un giorno colpiscono un altro ragazzo, Harun, poi rimasto paralizzato. Abbandonati a se stessi, i palestinesi come Penelope tentano di ricostruire di notte le case abbattute, in attesa dell’ennesimo intervento dell’esercito israeliano.
La zona di Masafer Yatta è ricca di grotte naturali, e qualche famiglia si adatta a trasferire i pochi mobili e oggetti salvati dalle case distrutte in questi spazi, tentando di ricreare un rifugio di fortuna. Non se ne vogliono andare, sono tenacemente attaccati alla loro terra. «La vera lotta è restare», dicono. Anche quando nell’estate 2022 l’esercito israeliano infligge un colpo mortale alla comunità, distruggendo la scuola elementare di Masafer Yatta, fortemente voluta da tutte le famiglie per offrire una prospettiva ai bambini.
La vicenda di Masafer Yatta risale agli anni Ottanta, quando Basel Adra non era ancora nato. L’esercito aveva dichiarato quest’area “zona di addestramento militare”. Da documenti segreti, risulta in realtà che l’ex primo ministro Ariel Sharon aveva in mente di eliminare la presenza palestinese per dare il via libera a nuovi insediamenti israeliani. Nel 1999, l’esercito ordina a tutti gli abitanti di lasciare il territorio. È a questo punto che i genitori di Basel e i loro concittadini si rivolgono ad alcuni avvocati israeliani per presentare un ricorso all’Alta Corte contro l’espulsione forzata. Il responso arriva nel 2022, dopo oltre vent’anni di attesa, e dà ragione all’esercito. Ecco perché nel film si vede il responsabile delle demolizioni aggirarsi con un foglio, l’ordine di demolizione, che consegna alle famiglie per giustificare l’intervento dei militari. Le case, la scuola, persino i pozzi dell’acqua per irrigare i campi sono illegali e quindi possono essere distrutti.
Da anni, gli abitanti di Masafer Yatta sono nell’impossibilità di costruire alcunché nelle loro proprietà con il riconoscimento ufficiale della legge. L’amministrazione civile israeliana in Cisgiordania respinge oltre il 98% delle richieste di permessi edilizi presentate dai palestinesi, consentendo invece agli israeliani di costruire liberamente. Un rapporto del 2022 di Amnesty International definisce le massicce requisizioni di terre e proprietà, le uccisioni illegali, i trasferimenti forzati, le drastiche limitazioni al movimento e il diniego di nazionalità e cittadinanza ai danni dei palestinesi come un vero e proprio sistema di “apartheid”.
Dal 7 ottobre 2023, giorno dell’attacco di Hamas a Israele, la situazione in Cisgiordania è drammaticamente peggiorata: coloni estremisti hanno utilizzato la violenza per sfrattare 16 villaggi palestinesi in tutta la Cisgiordania. Anche a Masafer Yatta la situazione è sempre più incerta: l’ultimo video girato da Basel, proprio a ottobre 2023, mostra alcuni coloni armati che sparano sulla gente del villaggio. Qualche palestinese non ce la fa più, carica le pecore su un furgone e decide di andarsene: se la terra non si può più salvare, si cerca almeno di preservare la vita della famiglia e gli animali.
Basel Adra, che da poco si è sposato ed è diventato padre, non sembra ottimista. «Mentre la guerra a Gaza continua, le demolizioni di case in massa proseguono anche in Cisgiordania, e sia i coloni che i soldati stanno sfruttando questa opportunità per trasferirci con la forza», ha dichiarato. «Vivendo sotto occupazione militare senza uno Stato o il diritto di voto, quando siamo attaccati dagli israeliani, dobbiamo andare alle stazioni di polizia israeliane, che si trovano dentro gli insediamenti e sono gestite da coloni. La polizia si rifiuta di indagare sulle nostre denunce. Il 97% di esse riguardanti casi di violenza dei coloni viene archiviato, e il 99% delle denunce contro soldati che hanno attaccato palestinesi viene chiuso senza conseguenze. È una discriminazione sistematica a ogni livello – motivo per cui molte persone pensano che sia inutile andare alla polizia dei coloni. Per noi, oltre alla videocamera, non c’è molto altro che possiamo fare. Non c’è nessun’altra terra dove andare». Come recita tristemente il titolo di questo documentario.
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