Oltre i numeri, il sapore della fede

L’EDITORIALE
Il Papa sceglie di visitare due Stati che hanno una popolazione cattolica numericamente insignificante. Ricordandoci che ciò che davvero dice l’incidenza dell’esperienza cristiana in un Paese, in una società, è l’intensità della sua fede

 

Dal 20 al 26 novembre Papa Francesco sarà in visita in due Paesi strategici del continente asiatico: la Thailandia e il Giappone. La Thailandia ha un ruolo importante nel contesto del Sud-est asiatico per la sua storia recente, essendo rimasta fuori dai grandi conflitti che alla fine degli anni Settanta hanno sconvolto le nazioni limitrofe. Il Giappone resta un Paese chiave sullo scenario mondiale per il suo ruolo di leader nel campo tecnologico, digitale, industriale. Ma non sono queste le ragioni principali per cui il Papa sceglie di visitare due Stati che hanno una popolazione cattolica numericamente insignificante: 0,5 % in Thailandia e 0,35% in Giappone.

Francesco spenderà un’intera settimana in due Paesi che potremmo definire “marginali” rispetto al dovere di un pastore di anime com’è il Santo Padre. Ancora una volta andrà nelle “periferie”, in questo caso numeriche, per ribadire l’importanza di una cura pastorale che non fa calcoli ed è sempre aperta allo slancio missionario. Ho conosciuto la Chiesa thailandese in diversi viaggi compiuti durante la mia presenza missionaria in Cambogia e quella giapponese nel corso di una visita nel marzo del 2018. Due Chiese nate entrambe a metà del XVII secolo che non hanno però visto una crescita massiccia nel tempo; oggi si presentano come comunità che puntano a conservare l’esistente, la propria struttura, la pastorale ordinaria, ma poco inclini a un approccio missionario, di annuncio del Vangelo ai lontani. Allo sguardo di un visitatore di passaggio come me, quella thailandese appare come una Chiesa che tende all’autocelebrazione, mentre quella giapponese mostra l’atteggiamento stanco di chi sembra voler accompagnare le comunità verso il termine della loro esperienza nel Sol Levante.

Di fronte a tutto ciò, che cosa ci dice questo viaggio del Papa? Fondamentalmente due cose: il valore dell’esperienza cristiana non dipende dai numeri; lo slogan “battezzati e inviati” dello scorso Mese missionario straordinario vale per tutte le Chiese, per ogni singolo cristiano. La consistenza numerica di una comunità non dice di per sé la qualità della fede di chi la frequenta. Ciò che davvero dice l’incidenza dell’esperienza cristiana in un Paese, in una società, o anche in un villaggio sperduto, è la profondità, l’intensità della fede dei suoi membri.

Una fede solida, radicata in Cristo, nella sua morte e risurrezione è inevitabilmente contagiosa e capace di incidere nella vita delle realtà e delle persone che incontra, senza bisogno di grandi strategie o programmi pastorali. Tutti, allora, siamo missionari in quanto “battezzati e inviati”; per questo nessuna Chiesa può rassegnarsi a vivere un atteggiamento supino in attesa di eventi che sembrano schiacciarla fino a renderla insignificante. C’è un sapore dell’esperienza cristiana che non può essere insipidito da nulla, per cui anche l’incontro una volta al mese con studenti che si sentono soli può sembrare poco ma è ciò che fa sentire il sapore del cristianesimo vero, come raccontiamo nelle prossime pagine.