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Icona decorativaIcona decorativa18 Giugno 2025 Giorgio Licini

La foresta saccheggiata

La Papua Nuova Guinea è un Paese vasto, poco popoloso e facilmente accedessibile illegalmente. Ne approfittano organizzazioni criminali di vari Paesi asiatici nell’industria del legname, della pesca e dei minerali preziosi per saccheggiarlo 

L’isola di Nuova Guinea, tra Asia e Oceania, per metà indipendente (Papua Nuova Guinea) e per metà parte dell’Indonesia, ospita la terza più grande foresta pluviale al mondo. Inevitabili le brame internazionali di legno pregiato, sempre più raro e ormai difeso coi denti dai Paesi che ne conservano ancora un poco. In Papua Nuova Guinea il 90% dei tronchi interi sono esportati in Cina e lavorati in buona parte per l’immenso mercato interno. Ora il governo di Port Moresby vorrebbe imporre la lavorazione in loco per creare occupazione e trarre maggiori benefici dalle risorse naturali del paese. Ma per riuscirci dipende ancora da investimenti stranieri. Gli impianti non si improvvisano. Farcela entro fine anno, come desiderato, non è realistico se non forse in piccola parte.

Intanto il saccheggio continua. Un recente rapporto, compilato in Papua Nuova Guinea e Australia e reso pubblico in maggio, ha confermato i mali del settore. Per una questione contrattuale manca ormai da un anno e mezzo il controllo indipendente sui tronchi esportati, a garanzia di specie forestali protette e della regolare quantità di taglio del lecito. Più a monte permangono problemi circa le concessioni governative di abbattimento degli alberi e la regolare esecuzione delle medesime. Il 38% delle esportazioni è riconducibile a concessioni di taglio in vista della trasformazione del terreno a scopi agricoli. Ma solo i fusti di interesse commerciale vengono rimossi, mentre i piani di sviluppo di piantagioni di cacao, caffè, palma da olio o altro rimangono sulla carta. Senza contare gli scarsi o nulli benefici per le comunità nella foresta, dove la popolazione vede anzi danneggiato o completamente distrutto il proprio habitat naturale.

Dal gennaio 2023 questo tipo di concessioni, solo ufficialmente a scopo di sviluppo agricolo, è stato sospeso dopo tante proteste. Ma prospera il taglio illegale. La Papua Nuova Guinea è vasta, poco popolata, facile da accedervi illegalmente per terra e ancora più per mare. Ne approfittano organizzazioni criminali di vari Paesi asiatici nell’industria del legname, della pesca, dei minerali preziosi, della droga diretta sul mercato australiano. 

Nell’impossibilità di opporsi agli interessi internazionali e in assenza di controlli efficaci, per limiti di personale e di risorse, diventa quasi naturale per i leader politici e gli organismi governativi locali rendersi complici degli interessi delle compagnie. Meglio beneficiarne almeno un poco. È corruzione. Ma è l’unico modo per intascare qualcosa. Opporsi alla devastazione è impresa troppo grande e destinata all’insuccesso quando approvata e sostenuta dal governo a Port Moresby.

Nella cultura della Melanesia la terra non è mai privata o del demanio o un oggetto di sfruttamento e profitto. È parte della persona, quasi un’estensione del corpo, appartiene alla tribù e al clan, mai agli individui a cui tutt’al più viene data in uso in base a regole molto precise stabilite dalla tradizione e dai capi. Lo sfruttamento moderno delle terre (legname, piantagioni, miniere) esige per legge il consenso previo dei proprietari tradizionali. In altre parole un compenso finanziario. Niente di più socialmente devastante. Da una parte la seduzione del vantaggio immediato, dall’altra la competizione tra gruppi, le divisioni favorite dalle compagnie in vista dell’accordo a loro più favorevole, le battaglie legali e i sotterfugi a danno di persone indifese, povere e non raramente analfabete. E’ la distruzione della foresta, ma ancor più dell’umanità e della sua millenaria simbiosi con la natura e la biodiversità dei tropici.

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