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In clausura a Quarto Oggiaro

Un gruppo di benedettine si è trasferito da qualche mese nel quartiere-simbolo della periferia milanese. Qui vivono da contemplative in ascolto delle fatiche della grande città. Con loro prenderà il via l’Ottobre missionario del Centro Pime di Milano

C’è tanta luce qui». Non è esattamente il modo in cui ci si aspetterebbe di sentir descrivere un angolo di Quarto Oggiaro. Ma sono le prime parole con cui le Benedettine Adoratrici del Santissimo Sacramento raccontano la loro nuova casa. Da alcuni mesi, hanno lasciato il loro monastero di via Bellotti, nel cuore di Milano – dall’architettura solenne, ma anche parecchio buia – per trasferirsi in una delle periferie simbolo di Milano. Dieci monache di clausura – eredi di una presenza nata nel 1892 e con una profonda tradizione – hanno lasciato una struttura diventata ormai troppo grande per loro, per portare la propria vita contemplativa in un quartiere emblema delle fatiche della metropoli di oggi.

I locali lasciati vuoti da una scuola cattolica – la “Pastor Angelicus” di via Cittadini, costretta a chiudere i bat­tenti dopo la pandemia – sono diventati il monastero dove continuano la loro vocazione di monache di clausura. A due passi da crocevia tristemente famosi per lo spaccio di droga, ma anche a poche centinaia di metri in linea d’aria dal carcere di Bollate e dall’O­spedale Sacco, seguono la regola di san Benedetto, scandita dagli orari delle liturgie e dal lavoro nel labo­ratorio di iconografia o in piccole collaborazioni edito­riali. Mentre una di loro, a turno, sta sempre davanti all’Eucaristia nell’adorazione continuata. Si sono fatte, quindi, missionarie nella periferia di Milano attraverso la loro vita di preghiera. Camminando insieme alla locale comunità pastorale del Cenacolo, guidata dal parroco don Augusto Bonora, che ha una delle sue chiese, Sant’Agnese, accanto al loro nuovo monastero. E proprio qui il Centro Pime ha scelto di iniziare, quest’anno, gli appuntamenti del mese missionario: il 1° ottobre – nella festa di santa Teresa di Lisieux – le Benedettine di Quarto Oggiaro, ospiteranno un dia­logo tra la priora madre Maristella dell’Annunciazione e il superiore generale del Pime, padre Francesco Rapacioli. Si confronteranno su quel filo rosso che tiene unite l’esperienza della vita contemplativa e l’apertura del cuo­re al mondo intero, propria dell’an­nuncio del Vangelo alle genti.

È una comunità vivace quella delle Benedettine di Quarto Oggiaro; un gruppo di donne di età diverse – si va dai 26 anni di Anna, novizia che emetterà i suoi voti il 31 ottobre, ai 91 da poco compiuti di suor Bertilla. La priora, madre Maristella, ha 48 anni. «Abitavo vicino al convento di via Bellotti ma non le conoscevo – rac­conta di sé -. Nella chiesa delle Benedettine sono entrata la prima volta quasi per curiosità, mentre studiavo all’università. L’impatto è stato un rigetto totale: “Chi può vivere così?”, mi sono detta. Poi, però, lo sguardo è caduto sulla cura dei gesti della sagrestana che stava sistemando l’altare. Vi ho scorto un amore per Gesù che non avevo mai visto prima. E alla fine mi sono innamorata anch’io…».

La proposta di spostarsi a Quarto Oggiaro alle Benedettine l’ha fatta l’arcivescovo, monsignor Mario Delpini. «Sapeva che cer­cavamo un posto perché manda­re avanti il vecchio convento era diventato per noi un peso – rac­conta la monaca -. Ci ha detto: c’è una scuola che ha chiuso, forse potrebbe andare bene per voi. Siamo qui dal 22 febbraio, le tre sorelle con più di ottant’anni erano le più entusiaste di venire. Un’altra delle cose che ci ha col­pito quando siamo venute a visi­tare gli spazi – aggiunge – è il fatto che in queste stanze in qualche modo si respira ancora la presen­za dei bambini che le hanno abi­tate. L’abbiamo colto come un messaggio di vita nuova, nel mo­mento che stavamo vivendo».

«Abbiamo ricevuto un’accoglienza calorosa e allo stesso tempo rispet­tosa della nostra vocazione – con­tinua madre Maristella -. Qualcuno è venuto a pregare con noi fin dall’inizio. C’è chi ci ha dato una mano a verniciare la cancellata. Per la targa che indica la nostra presenza ci siamo rivolte a una cooperativa di disabili ed ex detenuti che opera qui. Con gesti semplici in tanti ci hanno aiutato a far sentire il monastero anche casa loro. Le persone vengono da noi a confidare le loro preoccupazioni, a chiedere un accompagnamento spiritua­le: sentono che è un luogo di preghiera. Nella giornata indetta da Leone XIV ci siamo ritrovati qui insieme a pregare per la pace nel mondo».

Il trasferimento è stato un modo anche per ripensare al senso della propria vocazione. «Nella chiesa del vecchio monastero per delimitare la clausura c’era una grande grata in ferro, artisticamen­te molto bella – spiega -. Qui invece abbiamo voluto solo una balau­stra di legno. Anche la disposizio­ne degli spazi all’interno è diver­sa: sia noi che chi è fuori dalle a­ree dalla clausura siamo rivolti nella stessa direzione, quella del Santissimo. Per trasmettere me­glio l’idea che, pur nella separa­zione propria della nostra voca­zione, il monastero è un luogo della fraternità con tutti».

Proprio il rapporto con il mondo è chiamato particolarmente in causa per il fatto di trovarsi a Quarto Oggiaro. «Sapere che qui intorno c’è tanto spaccio di droga, per e­sempio, ci interpella – racconta la priora -. Preghiamo per chi è in cerca della dose, ma anche per chi molte volte spaccia solo per raci­molare i soldi per sopravvivere. Nei nostri monasteri incrociamo spesso persone che vengono a parlarci di queste storie. Vicende delicate, con tante fatiche ma anche testimonian­ze che la preghiera non è vana. Come quella volta che una di queste persone mi ha raccontato: “Ero dallo spacciatore, ma non mi ha venduto la dose perché vede­va le mie condizioni. Ho capito che a spingerlo era una forza più grande: era Gesù, perché voi pregavate per me”».

Un’altra vicinanza del tutto partico­lare è quella con i carcerati. «Sono loro a cercarci – spiega madre Maristella -, sentono un’affinità tra la loro reclusione forzata e la no­stra». E poi i malati oncologici, «e le loro famiglie, che hanno ancora più bisogno». Le coppie che non riescono ad avere figli: «È un’altra vicinanza molto speciale con noi. E se capita che alla fine arrivino, li portano subito qui a farceli vede­re». Insieme a tante persone molto semplicemente in cerca di qualcu­no che le sostenga nel proprio cammino. «La clausura sembrereb­be ridurre, ma alla fine spalanca all’infinito. Non ha confini: ti chiama a metterti in sintonia con tutti».

In questo percorso entra anche l’amicizia con i missionari: «Molti quando partono vengono a chie­derci le nostre preghiere – spiega la Benedettina -, hanno molta fidu­cia nell’intercessione di noi mona­che di clausura. E le loro intenzioni ci aiutano in questa nostra vocazio­ne. Ci portano a incarnare la nostra preghiera nella vita delle persone che vivono in Paesi in guerra, in si­tuazioni gravi di povertà e persecu­zione. Quando ho emesso i miei voti solenni un missionario in Perù con il quale corrispondevo mi ha scritto che le candele consuman­dosi illuminano. “Se la tua vita sarà luce, andrà a beneficio di qualcun altro”. È un motto che da allora mi porto nel cuore».

Si prega evidentemente anche per la pace, nel monastero di Quarto Oggiaro oggi. «Ma non è solo pronunciare parole – com­menta la monaca -. Perché la pace vera è dono del Cristo cro­cifisso e risorto; e non è mai a buon mercato. Comincia dai no­stri gesti, anche qui in monastero, dove le dinamiche tra noi non sono poi così diverse dalla vita in una famiglia, in un’azienda, nella società. Anzi, in qualche modo la clausura amplifica tutto ciò che si agita nel cuore. Si soffre molto per ciò che non è carità. Ma si impara anche a gioire della frater­nità, mettendo al centro la pre­senza del Signore. Che cos’è la pace se non questo?».

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