Holey Artisan
«Ho abbracciato la morte prima di nascere». La poesia che un uomo del Bangladesh ha dedicato a Michelangelo, bambino mai nato, morto insieme alla mamma nove anni fa nella strage compiuta da un commando islamista in un ristorante della capitale. Una tragedia che è stata ricordata in questi giorni giorni.
Il primo luglio scorso nel quartiere di Gulshan, presso la residenza dell’Ambasciatore italiano a Dhaka, diplomatici stranieri e autorità del Bangladesh hanno commemorato la tragedia accaduta nove anni fa, quando un gruppo di terroristi, forse affiliati all’ISIS, diede l’assalto al ristorante Holey Artisan, massacrando clienti e personale e prendendo in ostaggio i sopravvissuti, che poi vennero selezionati uno per uno: chi sapeva recitare qualche passo del Corano era risparmiato, gli altri venivano uccisi. Ci furono oltre trenta morti, e ci fu anche il gesto coraggioso di un universitario bengalese, musulmano, che avrebbe potuto salvarsi recitando il Corano, ma non lo fece, per restare accanto a due amiche di università, indù, che cenavano con lui, e morì con loro… Fra le vittime, nove erano italiane e tra loro una giovane donna Simona Monti, che era incinta.
L’anno prossimo, decimo anniversario della tragedia, si organizzerà una memoria più solenne, e – fra l’altro – si farà circolare anche una poesia scritta in memoria del bimbo che non è nella lista dei defunti perché non era ancora nato… Ringrazio P. Gian Battista Zanchi, perché mi ha mandato copia della poesia, che a sua volta aveva ricevuto dal Saveriano p. Lupi. La riporto in questa “Scheggia”, tradotta in italiano.
In ricordo di Michelangelo, bambino mai nato di Simona Monti, cittadina di Magliano Sabina (Rieti) uccisa nel massacro di Gulshan, Dhaka, il 1° luglio 2016
HO ABBRACCIATO LA MORTE PRIMA DI NASCERE
Io non ho Paese né lingua né razza, non ho commesso peccato e non ho fatto buone azioni. Ho ingoiato lacrime amare ancor prima di aver visto la bellezza della vita. L’atmosfera della terra non ha avvelenato il mio respiro. Il solo regalo della terra è stato il mio ultimo respiro.
Mamma, tu sei stata la mia stanza dei giochi, la mia scuola, la mia bara! I miei occhi non si erano ancora aperti, ma ho visto il mio ventre squarciato dalle unghie affilate degli uccisori. Le mie orecchie non erano ancora complete, ma ho sentito la campana della fine della scuola… E l’eco di parole a me sconosciute – chiesa – tempio – moschea si è spento lentamente.
Tu sei stata la mia prima e ultima culla. Dal tuo grembo non ho visto questo mondo. In quel grembo scese l’oscurità, mentre cercavo di afferrare il cordone ombelicale. Con questa manina dalle deboli dita non riuscii ad aggrapparmi a niente. I miei occhietti non ancora dischiusi videro la morte fluttuare in un fiume di sangue. In questo mio luogo oscuro, senza colore, non si legge alcuna parola di Corano, Bibbia, Ghita o Tripitok. Io ho abbracciato la morte prima di nascere. Il grembo materno è stato la mia tomba, la mia bara e la mia pira.
La terra degli uomini sta bruciando. Queste poche gocce del mio sangue non placheranno la loro sete.
Tariq Shujat – Dhaka
La famiglia della giovane uccisa con il suo bambino, ha finanziato la costruzione di una chiesa, nel sud del Bangladesh.
Articoli correlati
“Caccia al diavolo”, tre mesi dopo
Schegge di storia 6 – Fare insieme

