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Cade El Fasher, precipita il Sudan

La presa della capitale del Darfur settentrionale da parte delle Forze di supporto rapido è stata segnata da uccisioni di massa, attacchi su base etnica e terribili atrocità. Precipita ulteriormente la situazione di un Paese, dove 13 milioni di persone sono sfollate e 30 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente. La testimonianza di una dottoressa di Medici senza Frontiere

Dopo un anno e mezzo di assedio, con la popolazione ridotta alla fame, la città di El Fasher nel Darfur settentrionale è stata conquistata nel fine settimana del 25-26 ottobre dalle Forze di Supporto Rapido (RSF), guidate da Mohamed Hamdan “Hemeti” Dagalo, che già in questa regione aveva commesso crimini di guerra e terribili efferatezze vent’anni fa alla guida dei famigerati janjaweed. Il copione si ripete oggi, identico e terribile, con continue e sempre più gravi atrocità da quando nell’aprile del 2023 le milizie di Hemeti si contrappongono all’esercito sudanese, provocando una delle più gravi catastrofi umanitarie al mondo. La presa di El Fasher, con tutto il suo strascico di uccisioni di massa, violenze e barbarie – crudelmente e puntualmente filmate e diffuse viralmente sui social – è una catastrofe nella catastrofe di un Paese dove circa 13 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case. A questo numero apocalittico di persone spesso senza alcun aiuto si sono unite almeno 60.000 civili fuggiti da El Fasher, una città che aveva circa 250 mila abitanti.

Le Forze congiunte, milizia alleata all’esercito del Sudan, hanno accusato i paramilitari di aver «assassinato più di 2.000 civili disarmati, la maggior parte dei quali donne, bambini e anziani». Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sarebbero state uccise anche 460 persone nella maternità dell’ultimo ospedale parzialmente funzionante di questa città sudanese.

Medici Senza Frontiere (MSF), una delle pochissime organizzazioni umanitarie che continuano a operare in Sudan, ha espresso profonda preoccupazione per la situazione delle persone intrappolate all’interno e nei dintorni di El Fasher. «Chi è riuscito a fuggire parla di uccisioni di massa, violenze indiscriminate e attacchi su base etnica all’interno della città e lungo le strade utilizzate per scappare». «Dopo la caduta di El Fasher – testimonia Giulia Chiopris, pediatra italiana di MSF attualmente a Tawila, che si trova a circa 60 chilometri – stiamo vedendo un numero enorme di civili feriti. Per questo motivo abbiamo allestito un presidio sanitario all’ingresso della città di Tawila, dove viene eseguito un triage per ogni paziente, i più gravi vengono poi trasferiti in strutture più adeguate. Stiamo anche sottoponendo a screening tutti i bambini sotto i 5 anni per verificare lo stato di malnutrizione: ieri il 100% di loro era malnutrito, in modo grave o moderato».

 «Le persone – continua la dottoressa Chiopris – raccontano di essere sopravvissute a torture, di essere stati colpiti da armi da fuoco durante la fuga e di essersi ritrovati, a El Fasher, a mangiare mangime per animali, compost, che ha causato problemi addominali molto gravi, specialmente nei bambini. Arrivano quindi in ospedale esausti e in cattive condizioni di salute: la maggior parte di loro ha bisogno di un intervento chirurgico e il nostro team chirurgico sta lavorando senza sosta».

Tra le persone in fuga ci sono moltissimi bambini che hanno perso i loro genitori e altri membri della loro famiglia e che presentano situazioni gravi di malnutrizione acuta. Anche per lo staff di MSF la situazione è particolarmente drammatica. «Alcuni di loro hanno ancora famiglia e amici ad El Fasher, altri hanno ricevuto la notizia che i loro parenti sono stati uccisi, altri ancora hanno perso i contatti con loro, quindi l’atmosfera nell’ospedale è piuttosto difficile, ma stanno sempre facendo del loro meglio».

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani denuncia «il rischio di ulteriori violazioni su vasta scala e atrocità motivate etnicamente. Servono azioni urgenti e concrete per proteggere i civili e garantire loro vie di fuga sicure». Sinora, però, la comunità internazionale è apparsa sostanzialmente impotente di fronte all’immane tragedia sudanese. Che si aggrava di giorno in giorno. Secondo l’Onu, oltre 30 milioni di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente e più di 638.000 sono vittime di carestia. E la violenza sessuale è diventata sistematicamente un’arma di guerra che non risparmia neppure i bambini.

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