Guinea Bissau: contro il coronavirus, senza terapie e senza governo

Guinea Bissau: contro il coronavirus, senza terapie e senza governo

Come affrontare il coronavirus in un Paese come la Guinea Bissau che non ha neppure un posto di terapia intensiva? E come farlo quando manca addirittura un governo legittimo? L’appello di padre Davide Sciocco da Bissau

 

Anche la Guinea Bissau, piccolo Paese dell’Africa occidentale – uno dei più poveri e arretrati al mondo – si trova oggi a far fronte all’emergenza coronavirus. Con pochissimi mezzi e nessuna terapia intensiva, ma soprattutto senza un governo legittimo. Dopo le elezioni dello scorso dicembre, Umaro Cissoko Embaló del Movimento para a Alternância Democrática (MADEM-G-15), si è autoproclamato presidente e ha formato un governo senza però aspettare il responso del Supremo Tribunal de Justiça, a cui si è appellato lo sfidante, Domingos Simoes Pereira del Partido Africano para a Independência da Guiné e Cabo Verde (PAIGC). Anche a livello internazionale, il nuovo esecutivo non viene riconosciuto e questo sta creando grandi difficoltà anche per quanto riguarda aiuti e cooperazione. Per questo, fa ancora più paura la possibile diffusione di un virus che in nessun modo il fragilissimo sistema sanitario locale sarebbe in grado di affrontare.

Ecco perché è più che mai vitale e urgente arginarne la diffusione. Ed è proprio quello che ci racconta dalla capitale Bissau, padre Davide Sciocco, missionario del Pime, in prima linea nella prevenzione del coronavirus.

Padre Davide, la Guinea Bissau sta vivendo l’ennesima crisi politica e non è stata risparmiata neppure dal coronavirus. Qual è la situazione del Paese?

A tutt’oggi la situazione è molto confusa. Purtroppo non c’è organizzazione, perché non è stato ancora riconosciuto il presidente della Repubblica che dice vi aver vinto le elezioni e ha formato un nuovo governo. Non solo, ha cambiato anche tutto lo staff tecnico del ministero della Sanità che aveva già iniziato a organizzarsi in gennaio per la prevenzione e la sensibilizzazione sul coronavirus e per cercare fondi per attrezzare unità di terapia intensiva e isolamento che non esistono nel Paese. Purtroppo con questa nuova situazione non si è fatto nulla e solo ora che sono stati annunciati due casi certi di coronavirus e alcuni presunti hanno cominciato a prendere qualche misura. Di colpo, sono stati chiusi tutti i trasporti, il mercato, le scuole… Ma qui la gente vive di economia quotidiana: le donne vanno a vendere le loro poche cose e con quello che guadagnano comprano il necessario per far da mangiare. Qui quasi nessuno può permettersi di fare acquisti per una settimana come si fa in Italia; la gente compra il cibo giornalmente sia perché non ha il frigorifero, sia perché non ha abbastanza soldi. Questo renderà molto difficile il blocco delle attività. In un’intervista alla nostra Radio Sol Mansi, alcune donne che vendevano i loro prodotti nonostante la proibizione, si appellavano a Dio e chiedevano di perdonarle. Chiedevano a Dio di avere pazienza e di non far arrivare la malattia sin lì, perché loro erano povere ed erano costrette ad andare al mercato.

Sei stato chiamato dal vescovo di Bissau a far parte di un gruppo di consulenza per le attività di sensibilizzazione e prevenzione in un Paese dove, come già accennavi, non esistono posti di terapia intensiva. Che cosa significa affrontare il coronavirus in un Paese come la Guinea Bissau?

È molto difficile, perché c’è una fragilità immensa. Non c’è preparazione tra medici ed infermieri su questi temi. E soprattutto i posti dove si può dare l’ossigeno sono veramente limitatissimi. Con la Caritas abbiamo fatto innanzitutto una grande azione di sensibilizzazione, attraverso Radio Sol Mansi, che è la radio cattolica nazione ed è la più ascoltata del Paese. E poi abbiamo mandato in giro auto, motorini e tutti i mezzi possibili con gli altoparlanti che trasmettono spot e musiche fatte apposta sul tema del coronavirus. Li abbiamo inviati in tutti i quartieri della capitale e delle altre cittadine dell’interno e, dove possibile, anche nei villaggi. Adesso si sta pensando alla seconda fase, cioè a come aiutare i poveri, ovvero tantissima gente che non riesce a mangiare a causa del blocco delle attività.

Quanto è importante il lavoro della Chiesa e dei missionari in una situazione come quella attuale?

Sicuramente qui la Chiesa e i missionari sono molto rispettati e ascoltati. Infatti, come Chiesa abbiamo subito bloccato le celebrazioni che qui sono seguitissime specialmente durante la Quaresima: la via crucis, le Messe, i momenti di preghiera e di ritiro… in tutte queste occasioni si duplicano le persone e quindi c’è assembramento di gente. Appena il governo ha annunciato casi sospetti e ha detto di chiudere le scuole, anche come Chiesa si è chiuso tutto. Il che ha avuto un effetto positivo anche sulla comunità islamica, che è quattro volte superiore a quella cattolica, e rappresenta quasi la metà della popolazione. È stata, infatti, presa la decisione di chiudere anche le moschee e di chiedere alla gente di pregare a casa propria, nonostante molte resistenze. Poi molti vengono da noi per cercare un aiuto, un aiuto spirituale, di fede, non solo economico. Anche le trasmissioni di preghiera che facciamo a Radio Sol Mansi sono seguitissime. Anche per questo abbiano deciso di far partire una novena di preghiera dalla tomba del primo vescovo della Guinea Bissau, mons. Settimio Ferrazzetta, che è morto durante la guerra civile proprio per mettere pace tra le parti. Chiederemo a lui che ha lottato per la pace in Guinea che dia protezione anche contro l’aggressione di questa malattia.

In queste settimane, ci hai fatto avere molti messaggi di solidarietà da parte dei guineani per la grave situazione che stiamo vivendo qui in Italia. Ma che cosa possiamo fare noi per l’emergenza che potrebbe travolgere la Guinea Bissau?

Mi ha veramente commosso vedere come la gente di qui sia veramente preoccupata per l’Italia. Molti mi dicono che gli italiani hanno sempre aiutato il loro Paese e ora soffrono e muoiono. Quindi pregano moltissimo e vengono ogni giorno a chiedermi notizie o mi telefonano. Davvero c’è una grandissima attenzione e una forte preghiera per l’Italia. Che cosa potete fare voi? Beh, qui, in questo momento, non ci sono aiuti internazionali a causa della situazione politica. E se anche dovessero arrivare la capacità di gestirli sarà molto limitata. Quindi ogni aiuto è utile specialmente per continuare l’opera di sensibilizzazione e per poter andare anche nei villaggi al fine di prevenire la diffusione della malattia e aiutare i poveri e le tante persone che non hanno nulla da mangiare. E poi si sta cercando di attrezzare gli ospedali della diocesi per avere qualche posto di terapia intensiva e di isolamento. Grazie dunque per tutto quello che potrete fare per noi.

 

La Fondazione Pime Onlus ha aperto una raccolta fondi d’emergenza per interventi di lotta al Covid19 nei Paesi dove sono presenti i missionari.Per donare, clicca qui: Emergenza Coronavirus nel mondo