La mia fede di africano

La mia fede di africano

Convertito al cristianesimo dalla religione tradizionale, il gesuita padre Orobator è uno dei pensatori più interessanti d’Africa: affronta con originalità le grandi sfide della Chiesa nel continente. E non solo. Ne parlerà giovedì 19 alle 18,30 al Centro Pime di Milano, in via Monte Rosa 81 nel primo degli “Incontri con l’autore” promossi da Mondo e Missione insieme alla Biblioteca del Pime

 

«C’è stato un tempo in cui non ero cristiano… Sebbene la mia conversione al cristianesimo cattolico abbia segnato una significativa pietra miliare nel mio cammino di fede, quel viaggio è iniziato molto prima. Molto prima che l’acqua del battesimo fosse versata sul mio capo, mi ero già bagnato infinite volte nell’acqua spumeggiante della fede di mio padre e dello spirito di mia madre».

Così si presenta padre Agbon­khian­­­meghe Orobator, 51 anni nigeriano, presidente della Conferenza dei gesuiti di Africa e Madagascar e autore del libro “Confessioni di un animista. Fede e religione in Africa”, in uscita per Emi.

Un libro affronta molte delle grandi sfide della Chiesa africana oggi – dall’inculturazione alle questioni ambientali,  dal ruolo delle donne al terrorismo –  a partire da una prospettiva interessante: quella appunto di un convertito al cristianesimo il cui immaginario religioso è stato profondamente plasmato dalle influenze della religione africana. Senza crisi di identità.

Prima di tutto, perché il titolo “Confessioni di un animista”? Come dice anche nel libro “animista” ha una connotazione negativa, compromessa da pregiudizi coloniali e razziali. Non teme che possa essere frainteso?

«Non ho simili paure. La mia speranza è che la gente legga il libro prima di formulare un’opinione o di esprimere un giudizio. L’uso della parola “animismo” vorrebbe spronare tutti, non solo i lettori, a riesaminare pregiudizi, presupposti e ipotesi sulla fede e le credenze dell’altro. Coloro che credono in modo diverso non dovrebbero essere “marchiati” in termini negativi a causa della loro diversità. La religione africana è una tradizione diversa di fede e di credo e questa differenza non la rende inferiore alle altre tradizioni».

Che cosa significa per un africano essere “religioso”?

«Non vorrei troppo generalizzare. So cosa significa per me, come africano, essere “religioso”. Si tratta di ascoltare la chiamata del Cristo risorto nella mia lingua, nel mio contesto e nella mia storia e rispondere a questa chiamata in quello stesso contesto e storia. Tale risposta sarà unica e cristiana in un modo diverso da quella di qualsiasi altra esperienza di altri cristiani. Questo è uno dei punti chiave nel libro: essere un cristiano africano significa offrire un contributo ricco a un complesso arazzo di espressioni della fede cristiana».

Fino a che punto l’inculturazione è progredita in Africa oggi? Si sta andando avanti in questo ambito o forse si sta facendo anche qualche passo indietro?

«L’inculturazione è un processo di scoperta di Dio nel contesto del mio ambiente culturale. È permettere al Vangelo di impregnare questo ambiente con i suoi valori. Ma non è un processo a senso unico. Il mio ambiente culturale non è una nave vuota. Anch’esso ha dei valori che possono illuminare la mia comprensione e appropriazione del Vangelo. È sempre un processo attivo che si muove avanti e indietro. Non è un processo statico che rimane fisso in un posto, che possiamo definire come “avanti” o “indietro”. La Chiesa in Africa nel 2019 non è quella che era nel 1919 – e sarà molto diversa nel 2119! La Chiesa in Africa continua a essere uno strumento di evangelizzazione e di proclamazione del Vangelo di Cristo risorto. E compie questa missione in modo dinamico».

Nella Chiesa cattolica c’è ancora una forte visione “eurocentrica”? O pensa che si inizi ad apprezzare anche i contributi provenienti da altre parti del mondo?

«Con Papa Francesco continuiamo a vedere l’emergere di una Chiesa veramente globale. La Chiesa è una comunità multiculturale. Non c’è più un unico centro. Ci sono molti centri. Questa realtà è una ricchezza che dovremmo celebrare piuttosto che lamentarcene come se fosse una deviazione da una visione eurocentrica».

Il cristianesimo è cresciuto considerevolmente in Africa. In particolare, assistiamo a un grande successo delle cosiddette mega-Chiese, ma anche di una miriade di Chiese che mescolano spesso il bisogno di spiritualità delle persone con il business. Perché?

«La religione gioca un ruolo fondamentale nella vita delle persone. Come ho detto anche nel libro, la religione “funziona”. In particolare, la religione africana ha una sua caratteristica funzionale. Gli aderenti si aspettano che la loro fede e le loro convinzioni – nonché il modo in cui le praticano e le esprimono – abbiano un impatto sulle loro vite. Le nuove Chiese cristiane hanno capito questa dimensione funzionale della religione. È vero che alcuni l’hanno sfruttata per concentrarsi sul successo materiale, sulla ricchezza e sulla guarigione. Questa è un’aberrazione. Tuttavia, la spiritualità in Africa non riguarda soltanto il “fare affari”; riguarda innanzitutto  “l’affare” del vivere e dell’agire secondo i valori della fede. Ci sono molti africani che si sforzano sinceramente di vivere secondo il messaggio del Vangelo e non di solo pane».

Quanto è importante la questione della “salvaguardia del Creato”? C’è una reale sensibilità ai problemi ecologici nella Chiesa africana? Lei dice che l’ecologia rappresenta una nuova frontiera per l’etica teologica del cristianesimo africano. Che cosa intende?

«Viviamo in un’epoca di terribili cambiamenti climatici. L’attività umana ha danneggiato la terra e ha rovinato la vita specialmente dei poveri. Papa Francesco ha fatto un chiaro appello nella Laudato Si’ affinché tutti quanti ci assumiamo la nostra responsabilità di cura e protezione della terra. Questo non è un messaggio inedito. Dalla Genesi all’Apocalisse, Dio ci mostra gesti di cura per il Creato. Allo stesso modo, la religione africana è una religione “ecologica”. Insieme, cristianesimo e religione africana ci chiedono di integrare la preoccupazione per la terra nella nostra fede e nel nostro credo. Ai nostri giorni, e in questa nostra epoca storica, l’autentico credente è colui che accetta la responsabilità di prendersi cura della nostra “casa comune”. Questa è certamente una nuova frontiera per il cristianesimo non solo in Africa ma anche altrove».

Nel 2016, lei ha espresso il suo apprezzamento a Papa Francesco per aver creato una commissione per studiare la possibilità del diaconato femminile. Finora, però, non si è arrivati ad alcuna conclusione. Il tema della partecipazione delle donne nella Chiesa continua a essere un’istanza profondamente scomoda?

«Ho fiducia nel giudizio e nella guida di Papa Francesco su questo tema. Ha avuto il coraggio di creare una commissione, ma dobbiamo pensarla come un processo, non come un evento isolato. Penso che ci sia ancora molto da fare, perché una Chiesa in cui l’autorità, il potere e il privilegio di dirigere appartengono a un solo genere non è una Chiesa a immagine e somiglianza di Cristo risorto. Né è una Chiesa che esercita i propri ministeri in persona Christi, come se fosse Cristo. Credo che Papa Francesco lo sappia bene e che continuerà a lavorare per creare una Chiesa veramente inclusiva. Per questo merita il nostro sostegno».

Nel suo Paese, la Nigeria, ma anche in una vasta area del Sahel e persino in molte altre parti dell’Africa, assistiamo a una crescente diffusione dell’estremismo islamico e del terrorismo. Ovviamente è un problema complesso… Come vede questo fenomeno?

«È una sfida per l’intera comunità globale e internazionale. L’errore è pensare che riguardi solo una parte di mondo. Se il passato ci insegna qualcosa, allora significa che dobbiamo affrontare questa sfida insieme. Essenzialmente non abbiamo a che fare con l’estremismo religioso, siamo di fronte alla distorsione della religione per interessi ideologici. In alcuni casi, si tratta semplicemente di vera e propria criminalità. Abbiamo bisogno di impostare le cose in questa prospettiva».

 

PADRE OROBATOR GIOVEDI’ 19 SETTEMBRE ALLE 18,30 INTERVERRA’ A MILANO AL CENTRO PIME DI VIA MONTE ROSA 81: LEGGI QUI TUTTI I DETTAGLI SULL’INCONTRO