Padre Vecchiato: “Ricomincio da Ibipora”

Padre Vecchiato: “Ricomincio da Ibipora”

Padre Giancarlo Vecchiato, sacerdote da cinquant’anni, racconta il Brasile incontrato in missione: “Mi sono sempre sentito amato, da Dio e dal popolo che avevo incontrato e mi aveva accolto”

 

Anche dopo 50 anni di sacerdozio si può ricominciare: una nuova avventura, una nuova missione. “Ma sempre con la stessa fede e fiducia in Dio, che mi ha sempre amato molto”. Parole di padre Giancarlo Vecchiato, missionario del Pime e nuovo rettore della casa di Ibiporã, nello Stato del Paraná. In questa intervista, pubblicata su Mundo e Missão, ricordando le varie tappe della sua missione in Brasile (cominciata nel 1974), racconta quali sfide lo aspettano oggi.
Cominciamo dal fondo, cioè da Ibiporã. Nuova sfida, nuova missione.

“Sì e ne sono contento. La comunità di Ibiporã è molto significativa per il nostro istituto, soprattutto per la regione Brasile. Qui vivono i padri anziani che hanno servito questa terra, questo è il cuore della storia del Pime in Brasile, la memoria viva di quello che è stato fatto in questa parte del mondo. Io sono chiamato a vivere con i miei confratelli: siamo una decina di padri che ormai hanno superato i 70 anni ma che ancora vivono con gioia la loro vocazione e vogliono ancora essere espressione di quel Vangelo che hanno amato e amano”.

Quando cominciò tutto?
“La storia della mia vocazione è originale. Io ripeto sempre che sono diventato sacerdote perché il Signore lo ha voluto. Sono nato e cresciuto in un paesino vicino a Mestre. A 11 anni dissi a mia madre che volevo diventare missionario. Lei mi rispose che non sapevo nemmeno cosa volesse dire. La stessa risposta, più o meno, la ebbi da mio padre e persino dal parroco. Ma, come ho già detto, Dio ha voluto e mi ha voluto. E la sua grazia è il dono più grande della mia vita. Se tornassi indietro, farei tutto da capo”.

Perché il Pime?
“Scelsi il Pime perché nella mia diocesi c’erano vari padri dell’istituto. Ancora oggi sento di aver fatto la scelta giusta, questa è la mia famiglia, il posto giusto per me”.

Quando partì per il Brasile?
“Sono stato ordinato nel 1970, poi mi sono fermato a Treviso per fare animazione. Nel 1974 sono stato inviato in missione in Brasile. La mia prima missione, il mio primo amore, è Macapá. Dopo sono stato a Brusque e quindi nel Mato Grosso del Sud, in un piccolissimo villaggio al confine con il Paraguai. Fu una esperienza meravigliosa perché variegata: in quell’angolo di Brasile c’erano enormi fazendas, villaggi indios, favelas. C’era tutto. Io mi muovevo in bicicletta per visitare le famiglie e conoscere tutte quelle realtà. Mi sono sempre sentito amato, da Dio e dal popolo che avevo incontrato e mi aveva accolto”.

E poi San Paolo, vero?
“Sì, la grande metropoli. Fu una grande sfida, mi fermai nel territorio della Vila Missionária, altro luogo storico per il Pime. Mi sono innamorato della realtà della periferia. E poi tornai a Macapá, per chiudere il cerchio”.

Perché un giovane, oggi, dovrebbe diventare missionario?
“Me lo chiedo sempre. E a volte soffro per la realtà giovanile. Come un giovane oggi può scegliere il caqmmino della felicità? Non ho grandi risposte. Ai giovani dico questo: Dio è onesto, propone per il nostro bene. E ripeto ancora: se tornassi indietro, farei tutto da capo. Il mio essere sacerdote e missionario sono motivi di felicità profonda che nulla mi può togliere: né gli errori che ho commesso, i peccato, le incomprensioni. Nulla”.

Cosa ha insegnato il Brasile alla sua vocazione?
“Ho imparato la spontaneità. Le persone mi hanno sempre accolto col cuore in mano. Il popolo brasiliano, da Nord a Sud, sa donarsi con sincerità. Ma più di ogni altra cosa ho imparato a unire la fede e la carità. L’altro è l’unico modo per incontrare Dio, l’altro è il grande sacramento di Dio”.

E adesso, quali sfide?
“Penso che la sfida più grande sia quella di riuscire sempre ad avere fede e fiducia in Dio, come un bambino che corre in braccio alla madre o al padre. Devo riuscire, ogni giorno, a essere capace di diminuire per lascare spazio a Lui”.

Adesso tutta la comunità di Ibiporã, a dire il vero, ha una nuova missione: la nuova chiesa, costruita dentro il giardino della casa del Pime, sarà aperta al pubblico.
“Esattamente. È una chiesa bellissima, realizzata secondo l’enciclica Laudato Si’. Sarà benedetta dal vescovo in ottobre, nella Giornata Missionaria. Ma già è aperta. Il popolo di Ibiporã vorrebbe che fosse una parrocchia, il Pime vorrebbe farne un luogo di incontro, di crescita, di animazione missionaria, di ritiro. Vedremo che cosa sarà, sicuramente il Signore ci indicherà il giusto cammino”.