Ritorno nelle Filippine
Riparte dalle Filippine la rubrica di padre Giorgio Licini che, dopo 22 anni in Papua Nuova Guinea, è tornato nel Paese in cui era cominciata la sua missione in Asia. Tenendo aperto uno sguardo anche sul mondo e sulla Chiesa occidentali…
Spunti tratti dal cammino quotidiano con la gente. Osservazioni non conclusive e aperte a sviluppi e contributi. Una piccola voce dalle profondità del Sud-Est Asiatico e del Pacifico. L’attività missionaria è pratica e incarnata, ma si accompagna a spiritualità e riflessione altrettanto concreta. È viva e da condividere. Finché è possibile. Siamo gli ultimi rappresentanti italiani (ed europei) delle cosidddette “missioni moderne”.
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Torno nelle Filippine (dove avevo speso i primi dieci anni di attività missionaria) dopo ventidue in Papua Nuova Guinea. I cambiamenti sono tanti e generalmente positivi. Tutto è cresciuto e migliorato. Eccetto il clima, ancor più piovoso e devastante. E la corruzione amministrativa, forse ancora più colpevole della pioggia nel caso di argini e dighe che crollano a causa del latrocinio sulla qualità dei materiali.
Ho visitato la vecchia missione Pime dell’Arakan Valley, isola di Mindanao, a sud. Era ancora poverissima venti anni fa. Solo sentieri e strade fangose. Lumini nelle case. Trasporto a dorso di mulo. Niente telefono. Violenza, tensione ed estorsioni per la presenza dell’insurrezione maoista. Frequenza scolastica difficile per i bambini e i giovani.
Ho osservato e parlato con tante persone per identificare i mezzi o le iniziative che hanno permesso in due decenni il balzo in avanti. Anzitutto va riconosciuta la volontà o la capacità del governo di dare finalmente attenzione, investire e migliorare anche le aree rurali. Quattro fattori concomitanti e molto pratici poi hanno fatto la differenza: strade, elettricità, internet, pace. Le aree remote rimangono rurali, per fortuna, ma le strade permettono di passare dall’agricoltura di sussistenza a quella di mercato. Non più solo il mais e il riso per lo stretto consumo famigliare, ma anche le banane nel caso dell’Arakan Valley e municipalità limitrofe. Grandi camion caricano sul posto e scaricano direttamente sui mercati di Manila. Poi in misura minore anche la palma da olio e l’albero della gomma. Potrebbe essere qualsiasi altro prodotto che si adatta al suolo e al clima.
Con le strade arrivano le linee della corrente elettrica. Non solo per illuminare casupole un tempo buie alle sette di sera, ma per far funzionare macchinari da lavoro, caricare i telefoni, migliorare l’insegnamento nelle scuole con computer e proiettori. Senza elettricità non c’è mondo moderno, sviluppo economico, progresso culturale. Tutto rimane ibernato e fossilizzato in un passato a cui nessuno, a torto o a ragione, intende più tornare.
Tanto più ora che ogni dato di conoscenza, decisione, dibattito e accordo corre su internet. Un click fa una grande differenza in città, ma forse ancora di più in campagna dove in passato le distanze rendevano la comunicazione così lenta. Non più! L’internet costa poco, fa guadagnare molto e risparmiare tantissimo. Velocizza ed annulla infiniti ostacoli.
Il progresso economico, culturale e sociale, la possibilità di lavoro e di un’entrata, riducono la necessità di legittime proteste e rivendicazioni. Ancor più annullano il reclutamento dei giovani da parte di forze politiche ideologizzate, violente e antidemocratiche. Wala nang giyera (non c’è più la guerra), mi dicono in tanti un po’ sottovoce in Arakan Valley, apparentemente contenti, ma ancora guardinghi dopo decenni di conflitto con il New Peoplès Army. È una pace armata con un battaglione di fanteria ancora di stanza nell’area. Ma è finita da parte degli insorti comunisti l’occupazione di villaggi remoti, il controllo sulla popolazione, l’ostilità e il ricatto verso gli uomini e le istituzioni del governo. Sono finite anche le tasse rivoluzionarie imposte ai commercianti locali. In effetti il progresso senza pace sarebbe amaro e incompleto. Forse impossibile.
https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-elettricita-porta-la-svolta-ma-solo-la-pace-da-futuro?
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