Samsung, la condanna che segna una svolta a Seul
I due anni e mezzo di carcere per corruzione al vice-presidente Lee Jae-yong mostrano un cambio di rotta nei rapporti tra lo Stato e il potere dei grandi conglomerati a conduzione familiare che da soli producono buona parte del Pil della Corea del Sud
La sentenza che il 18 gennaio ha condannato a due anni e mezzo di carcere per corruzione il principale responsabile del colosso industriale e tecnologico sudcoreano Samsung, è esemplare. Non soltanto perché priva di una guida certa il maggiore conglomerato a conduzione familiare (chaebol, in coreano) produttivo e finanziario del Paese, che da solo equivale in valore di produzione annuale al 20% del Prodotto interno lordo di quella che è la quinta potenza economica dell’Asia e la 12ma mondiale (7ma per produzione industriale). Anche perché consolida la linea del cambiamento rispetto all’associazione tra potere politico e economico, una condizione che per molti anni ha segnato la realtà sudcoreana, incentivando – oltre a una convergenza importante sul piano della crescita soprattutto negli anni Novanta e nel primo decennio del secolo – anche brogli, parassitismo e corruzione. Non a caso la condanna di Lee Jae-yong – che ricopre la carica di vice-presidente della Samsung Electronics, il maggiore produttore mondiale di smartphone e di microchip – dopo un procedimento avviato nel 2017, è arrivata a pochi giorni dalla conferma della pena di 30 anni di carcere per l’ex presidente, la signora Park Geun-hye. Come si ricorderà la presidente Park era stata costretta alle dimissioni e poi finita a giudizio per i rapporti intrattenuti da una sua amica e collaboratrice con esponenti del potere produttivo e finanziario e i privilegi ad essi garantiti in cambio di “donazioni” per milioni di dollari a favore di se stessa e di istituzioni da lei partecipate, millantando proprio i legami con l’inquilina della Casa Blu di Seul. Secondo i giudici, “Lee ha attivamente fornito mazzette e chiesto implicitamente alla presidente di usare il suo potere per sostenere la sua successione senza ostacoli” a capo del Gruppo Samsung. “È davvero spiacevole che Samsung, la principale azienda nazionale e orgogliosamente innovatore mondiale sia stata coinvolta ripetutamente in crimini ogni volta che vi è stato un cambio al vertice della politica”, hanno sottolineato. Lee era di fatto alla guida della Samsung da alcuni anni, a causa delle incerte condizioni di salute del padre Lee Kun-hee dopo una crisi cardiaca anni fa. Il decesso di Lee padre lo scorso ottobre ha aperto le porte della successione al figlio, a 82 anni dalla nascita dell’azienda di famiglia. Nella situazione creata dalla decisione dei giudici di Seul, l’azienda rischia serie difficoltà. In un tempo che per la Corea del Sud è di necessaria ristrutturazione dopo anni di crescita con poche regole e molte ineguaglianze e posta di fronte a una crisi pandemica che sta già colpendo pesantemente economia e società, l’incertezza della leadership potrebbe incidere fortemente sulle prospettive, soprattutto sugli imponenti investimenti richiesti dalle necessità del mercato e dell’innovazione. I mercati hanno salutato con poche scosse la condanna e a inizio mese la Samsung Electronics aveva visto un balzo del 25% delle sue azioni anche sulla spinta dell’accresciuta richiesta di microchip e di strumenti elettronici dovuta alle maggiori necessità di connettività e smart-working. Una vantaggio sulla cui persistenza inciderà molto la decisione del 52enne Lee su una eventuale successione affidata a uno dei figli, finora esclusa ma che ora potrebbe essere necessaria. Foto: Flickr / Dennis M2Articoli correlati
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