Pakistan, moschee aperte durante il Ramadan

Pakistan, moschee aperte durante il Ramadan

È uno dei pochi Paesi islamici dove i luoghi di culto non hanno chiuso. Per i fedeli obbligo di mascherina e distanziamento sociale

 

Per il mondo musulmano il 23 aprile è iniziato il Ramadan, il mese della misericordia in cui i fedeli digiunano tutto il giorno, che si chiuderà il 23 maggio prossimo. Un periodo segnato da momenti collettivi intensi, come l’iftar – la cena familiare che rompe il digiuno al tramonto – o la preghiera tarawih, che si recita insieme in moschea. L’epidemia impone nuove regole e per la prima volta persino luoghi di pellegrinaggio come la Kaaba in Arabia Saudita sono inaccessibili, mentre le moschee hanno chiuso i battenti in quasi tutti i Paesi per impedire la diffusione della malattia. Circa 1 miliardo e 800 milioni di musulmani in questo Ramadan si dedicheranno alla preghiera fra le pareti domestiche, con il benestare degli ulema, che invitano tutti alla prudenza.

In questo scenario, fa però eccezione il Pakistan che, con i suoi oltre 210 milioni di abitanti, è il secondo Paese islamico per abitanti al mondo. Le élite religiose qui sono molto potenti e corteggiate dalle autorità. Ne è riprova il fatto che le moschee non hanno mai veramente chiuso e la disposizione governativa di limitare la preghiera a non più di 5 partecipanti è stata spesso disattesa. Il presidente Arif Alvi, nei giorni scorsi prima dell’inizio del Ramadan, ha annunciato un accordo con i capi islamici. Il risultato è un compromesso: si potrà pregare in moschea, ma osservando una serie di regole.

Con oltre 9000 contagiati – un numero probabilmente sottostimato, per l’impossibilità di effettuare un numero adeguato di tamponi – il Pakistan è in lockdown dal 1 aprile scorso. Il primo caso di Covid-19 confermato risale al 26 febbraio ed è legato a un viaggiatore di ritorno dall’Iran, dove l’epidemia era già in corso. Scuole e servizi non essenziali al momento sono chiusi e sono vietati i raduni pubblici. Il primo ministro Imran Khan ha però allentato le restrizioni il 14 aprile, permettendo ad alcuni settori di riprendere l’attività, per il timore di pesanti ripercussioni sull’economia. La vera paura resta comunque la fame: in un Paese dove milioni di persone basano la propria sopravvivenza sul piccolo commercio e su lavori saltuari, le poche rupie che si guadagnano quotidianamente sono fondamentali per cavarsela.

All’inizio di aprile, malgrado il lockdown, la potente congregazione religiosa Tablighi Jamaat ha tenuto ugualmente il suo incontro annuale a Lahore, con 100 mila partecipanti. Le moschee hanno continuato a chiamare alla preghiera ogni venerdì, anche se in alcune province, dove le restrizioni sono state applicate in modo più ferreo, ci sono stati scontri fra polizia e fedeli. Anziché invitare la gente alla calma, molti imam hanno gettato legna sul fuoco. «Non è il lockdown la soluzione, la gente deve aver fiducia in Dio», ha dichiarato ad Al Jazeera un leader religioso a Islamabad. «Occorre riporre in Lui la speranza e se nel tuo destino c’è scritto che devi morire, allora morirai». Diversamente la vedono gli scienziati e soprattutto i medici pakistani, che hanno inscenato proteste per la scarsità di mezzi di protezione loro forniti negli ospedali e che si sono dichiarati favorevoli alle restrizioni per arginare il contagio.

In questo clima di confusione, si è giunti ai giorni scorsi, prima del Ramadan. Esponenti governativi e i principali leader islamici si sono accordati sul mantenimento dell’apertura delle moschee anche in questo mese sacro, ma a condizioni precise. Fra un fedele e l’altro, deve esserci una distanza di due metri e l’accesso alla preghiera collettiva non è consentito ai bambini, ai malati e agli over 50. Quanto all’arredo interno, devono essere rimossi i tappeti dal pavimento, che è necessario pulire con disinfettanti al cloro. Niente abluzioni rituali in moschea – i fedeli le devono effettuare a casa – e obbligo di indossare la mascherina. Da parte loro, i religiosi si sono impegnati a scoraggiare discussioni e assembramenti dopo la preghiera.

Resta da vedere se le disposizioni concordate verranno applicate correttamente anche nei più remoti villaggi e centri minori, dove spesso imam dalle scarse cognizioni scientifiche continuano a raccontare ai fedeli che il Coronavirus è un problema degli occidentali infedeli. E che un buon musulmano, che prega cinque volte al giorno facendo le abluzioni, può ritenersi immune.

 

Foto: Flick / Umair Khan