Il regno della droga in Myanmar

Al confine con la Cina, il popolo wa ha creato un narco-Stato che genera miliardi dal traffico di stupefacenti. Grazie al sostegno (poi venuto meno) della CIA
Degli oltre 135 gruppi etnici che popolano il Myanmar, solo i wa sono riusciti a dar vita a una loro regione autonoma: a tutti gli effetti uno Stato dentro lo Stato, con le proprie leggi, scuole, strade e un esercito permanente, conosciuto con la sigla Uwsa, United Wa State Army. Ma quello dei wa è anche un narco-Stato “al centro di un traffico di droga nel Sud-Est asiatico che genera sessanta miliardi di dollari l’anno dalla sola metanfetamina”, una cifra che supera il Pil di molti Paesi riconosciuti a livello internazionale. Eppure i wa, in origine, erano una tribù di contadini-guerrieri che risiedevano sulle montagne al confine con la provincia cinese dello Yunnan ed erano noti soprattutto per la brutale pratica di collezionare le teste dei loro nemici.
Questa particolare evoluzione dei wa – da tribù tagliateste a cartello della droga internazionale – è ben documentata nel libro “Narcotopia”, del giornalista statunitense Patrick Winn, di base a Bangkok, in Thailandia. Una trasformazione avvenuta tra gli Anni Sessanta e Settanta grazie al sostegno della Cia, intenzionata a contrastare l’espansione del comunismo cinese. In cambio della collaborazione dei signori della droga che coltivavano oppio, l’agenzia di intelligence statunitense chiuse un occhio sull’esportazione di stupefacenti in Thailandia e da lì al resto del mondo. Quando poi, negli Anni Novanta, la Cia decise che i wa si stavano trasformando in una minaccia per l’interesse nazionale, cominciò a prendere di mira gli stessi signori della droga che prima aveva protetto.
«Quando una superpotenza tenta di distruggere una civiltà intera e di bollare la sua gente come intoccabile sulla scena internazionale, è essenziale raccontare anche l’altra versione della storia», scrive Winn nelle prime pagine del libro. L’intento dell’autore è stato realizzato tramite interviste dirette condotte in Myanmar e documenti di intelligence che confermano le versione dei fatti dei leader wa.
Ancora oggi i wa, grazie a una milizia di circa 25-30.000 effettivi, sono considerati il gruppo etnico più potente di tutta l’ex Birmania. Eppure non hanno ufficialmente preso parte al conflitto civile iniziato dopo il colpo di Stato militare del 2021, probabilmente su pressione della Cina, con cui oggi i wa mantengono stretti legami diplomatici. Con l’avanzata delle forze della resistenza verso i loro territori, i wa hanno provato a porsi come mediatori, anche in questo caso nel tentativo di tutelare gli interessi commerciali di Pechino nella regione. Un epilogo che la Cia probabilmente non aveva immaginato.
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