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Greenland: la bidonville molto poco verde

Si chiama “Terra verde”, ma di alberi non c’è neppure l’ombra. In quello che è il più grande slum di Khulna, in Bangladesh, c’è però un ambulatorio dove suor Roberta Pignone, missionaria dell’Immacolata e medico, prova a curare le malattie e a combattere contro il degrado

Greenland è uno dei più grandi slum di Khulna con circa 20 mila persone, non molto distante dal nostro ospedale. Sin dalla prima visita, mi è entrato subito nel cuore: ci abitano molti nostri pazienti, curati sia per lebbra che per tubercolosi. Il mio sogno di aprirvi un ambulatorio è iniziato nel 2018 perché la gente non ha la possibilità di rivolgersi a noi facilmente.

Ancora oggi, ogni volta che ci vado è un colpo al cuore: penso sempre che, in fondo, io ci passo solo poche ore, ma la gente lì ci vive tutta la vita. Le abitazioni hanno il tetto in lamiera e nessuna finestra, con il caldo estivo diventa insopportabile stare dentro, mentre nella stagione delle piogge la fogna, che è sempre a cielo aperto, inonda le strade e di conseguenza le case. La vita familiare non conosce alcuna intimità. Tutti sanno tutto di tutti. E se la sister – la suora – viene in visita, allora tutti si mobilitano portando i bicchieri o le tazzine belle per l’ospite.

Tornata in Bangladesh dopo il Covid, ho chiesto a un nostro ragazzo di cercare un luogo idoneo dove fare un ambulatorio una volta la settimana e dove anche lui potesse accogliere i pazienti negli altri giorni. Abbiamo trovato una scuoletta, una piccola costruzione in lamiera, senza finestre, buia e cupa, ma che ci permette di ricevere i malati. Dopo qualche tempo, l’edificio è stato chiuso per lavori e per più di un anno sono stata ospite nella casa di una mia paziente, dove nulla era mai pulito e in ordine, ma dove ho potuto vedere da vicino come vive la gente. Tante cose che per noi sono scontate, lì non ci sono. I bagni, ad esempio, sono pubblici e non sempre vicini a casa, e dunque di notte ogni famiglia si arrangia come può.

Andare lì è sempre un’esperienza forte. I pazienti non mancano. Komla viene puntualmente ogni settimana a prendere la sua terapia e anche lei ci ha offerto la sua casa per qualche mese quando la scuola era inagibile. Mariam, la sua nipotina, insieme ad altre due amichette vengono invece a prendere le caramelle e si siedono lì con me mentre faccio le visite; non è certo tranquillo, ma le bimbe portano gioia.

C’è un’altra donna “affezionata”, si chiama Mina Begum, ed è una malata psichiatrica diventata ormai mia amica: ogni settimana viene per qualcosa di diverso, anche se credo che nemmeno li prenda i miei farmaci che di solito sono vitamine e che ne abbia una scorta non indifferente nascosta da qualche parte.

Così stiamo portando avanti questa nuova avventura seguendo il desiderio del cuore di avvicinarmi a questa gente, che curiamo come possiamo, anche se non riusciamo a incidere sulle loro condizioni di vita. Per questo ci vorrà ancora molto tempo, anche per cambiare la mentalità. Ci vorranno tante mattine in ambulatorio, con le cucciole che saltano su e giù dal tavolo, ma sono sicura che prima o poi qualcosa migliorerà.

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