Theresa Kachindamoto

Theresa Kachindamoto

Prima donna a rivestire il ruolo di capo tradizionale in Malawi, si sta spendendo per impedire i matrimoni forzati e le gravidanze precoci che sono aumentati a dismisura in tempo di Coronavirus

Una delle più drammatiche conseguenze della pandemia di Coronavirus – oltre a quella sanitaria ovviamente – è l’abbandono scolastico di milioni di bambini in tutto il mondo. Una tragedia nella tragedia perché avrà ripercussioni negative sul futuro di molte società, specialmente nei Paesi più poveri e in via di sviluppo. Il fenomeno è vastissimo e drammatico in tante parti del mondo e riguarda in maniera ancora più devastante le bambine. Già maggiormente penalizzate dei maschi e sovente escluse dai sistemi educativi in molti contesti difficili e svantaggiati, in questo tempo di pandemia, moltissime ragazzine hanno subito ulteriori discriminazioni, se non veri e propri abusi e violenze. Anche sessuali. E tantissime sono state costrette a sposarsi giovanissime.

Secondo Plan International e Unesco, la chiusura delle scuole in 185 Paesi del mondo «colpisce in modo sproporzionato le ragazze adolescenti, rafforzando ulteriormente i divari di genere nell’istruzione e portando a un aumento del rischio di sfruttamento sessuale, gravidanze premature e matrimoni precoci e forzati».

È quello che ha continuato a denunciare e a contrastare in Malawi Theresa Kachindamoto, già nota per essere stata la prima donna a ricoprire il ruolo di capo tradizionale nel suo Paese. Non solo, però: Theresa è sempre stata in prima linea contro i matrimoni di ragazzine che talvolta hanno solo 12 o 13 anni. Un fenomeno che è cresciuto esponenzialmente durante il lockdown imposto dalla pandemia di Coronavirus.

«Siamo andati nei villaggi – ha detto Kachindamoto alla Thomson Reuters Foundation – per sensibilizzare le famiglie a prendersi cura dei loro bambini in modo che potessero tornare in classe quando le scuole sarebbero state riaperte, perché è lì il loro futuro». Un invito che è diventato particolarmente pressante per quanto riguarda le ragazzine. Durante il lockdown, infatti, il numero delle adolescenti messe incinta è aumentato significativamente e molte di loro sono state date in sposa, contravvenendo peraltro a una legge contro i matrimoni forzati e precoci, adottata nel Paese nel 2015. La pratica, però, è ancora molto diffusa e riguarda almeno il 47% delle ragazze sotto i 18 anni, ma anche moltissime adolescenti. Circa il 9% delle ragazzine infatti viene fatto sposare sotto i 15 anni. In Malawi, inoltre, è ancora in uso la pratica dei “campi di iniziazione”, dove le bambine che si affacciano alla pubertà vengono “iniziate” da un uomo molto più anziano di loro a diventare “buone” mogli e madri.

Le conseguenze possono essere molto gravi, specialmente quando queste ragazze giovanissime devono affrontare gravidanze precoci, che mettono a rischio la loro salute – e talvolta la loro stessa vita – e quella dei loro bambini. Molte spose-bambine, inoltre, si ritrovano vittime di violenze sessuali e abusi domestici.

Purtroppo, in Malawi (ma non solo), il fenomeno è cresciuto moltissimo in questo tempo di pandemia. Solo nella cittadina di Mangochi, i casi di gravidanze adolescenziali e di matrimoni precoci sono saliti da 6.359 del luglio 2019 a 7.340 nello stesso mese dello scorso anno. Un migliaio in più secondo i dati raccolti sul posto. Dati che probabilmente non registrano una vasta parte sommersa del fenomeno. Per questo, Theresa Kachindamoto, che ha autorità su tutto il distretto di Dedza – quasi un milione di abitanti nella regione centrale del Malawi – è stata particolarmente severa, chiedendo a tutti i capi villaggio di sciogliere i matrimoni precoci che hanno avuto luogo durante il periodo di lockdown e di chiusura delle scuole, e rimuovendone alcuni dal loro incarico quando non hanno seguito le sue disposizioni: «In questo modo anche gli altri si sono resi conto di quali fossero le conseguenze per coloro che non rispettavano le mie direttive».

Non da oggi Theresa Kachindamoto si batte contro questa piaga ancora così diffusa. Legata alle tradizioni, ma capace anche di innovazione, nel 2001 venne eletta dai capi villaggio del suo distretto come leader anziana, un ruolo di grande prestigio e autorevolezza, ma anche di vero e proprio potere. Figlia di un capo tribale, è stata scelta tra i suoi dodici fratelli per ricoprire una carica tanto importante ma, sino a quel momento, appannaggio di soli uomini. «Ero brava con le persone», si descrive Theresa, riassumendo così le sue doti di ascolto e mediazione, ma anche la sua saggezza ed equità nelle decisioni. Ha fatto da apripista su più fronti e, infatti, oggi in Malawi sono ormai una cinquantina le donne che rivestono il ruolo di capo villaggio. Pure sulla questione dei matrimoni precoci ha sfidato una tradizione ancestrale che si perpetua anche a causa della diffusa povertà e delle precarie condizioni di vita della gente. Condizioni che sono ulteriormente peggiorate a causa del Coronavirus e delle misure imposte per contrastarlo. E così molte famiglie, per sgravarsi di una bocca da nutrire e ottenere qualcosa in dote, hanno dato in moglie le loro figlie giovanissime.

«Queste bambine devono tornare al più presto a scuola», ha sentenziato Theresa, che si è offerta anche di pagare di tasca propria le rette. «Il mio sogno è di aprire delle boarding school, dove le ragazze possono stare al sicuro. Lo studio può rompere la spirale della povertà e restituire alle donne le chiavi del loro futuro».

«Se educhi una ragazza, educhi un villaggio», dice un famoso proverbio africano. Ed è questo il motto di Theresa Kachindamoto che già nel 2015 aveva fatto cancellare 330 matrimoni tradizionali tra bambini e bambine. Ora il numero è salito a oltre 3.500. Ma la battaglia non è ancora finita.

 

BOX

Ultima di dodici fratelli, sposata e con cinque figli, Theresa Kachindamoto ha lavorato per 27 anni come segretaria in un College di Zomba. È stata scelta come leader tribale del distretto di Dedza nel 2001.
La sua battaglia contro i matrimoni precoci ha portato all’approvazione di un’apposita legge nel 2015.
Ha fondato l’associazione The Mother’s Group con cui porta avanti le sue lotte. È stata insignita del Premio internazionale Navarra alla solidarietà nel 2018.