Missione senza confini

Missione senza confini

Ecco i sette nuovi sacerdoti del Pime. Provengono dai quattro angoli del mondo. I loro compagni di seminario ce li raccontano

 

Sono Ace, Amal, Bala, Papaiah, Phongphan, Regan e Sai. Quest’estate nelle loro diocesi di origine saranno ordinati sacerdoti, divenendo così i nuovi missionari del Pime. Vengono da Filippine, Bangladesh e India; neanche un italiano, a dimostrazione della sempre maggiore apertura dell’Istituto all’internazionalità. Ciò che li ha condotti, da Paesi così lontani fino al Seminario teologico di Monza, lo hanno manifestato chiaramente nel versetto che hanno scelto come motto della loro ordinazione: «L’amore di Cristo ci spinge» (2 Cor 5,14).

Per Ace Valdez è stato proprio vedendo quell’amore, in una rappresentazione della passione di Gesù, che si è manifestata la vocazione. «Ha acceso in lui la scintilla della sua chiamata» dice il suo confratello e amico Alessandro Canali. «Sin da piccolo Ace ha respirato il profumo della missione: la sua parrocchia di origine, a Manila, è gestita dai missionari del Pime. D’accordo con loro, dopo un periodo di discernimento, è entrato nel seminario di Tagaytay». «Ace è un ragazzo solare – continua Alessandro -. La prima volta che l’ho visto sbucava da uno scatolone ballando Gangnam Style, un’entrata in scena davvero spettacolare. Ma poi, quando si tratta della vita delle persone, entra in punta di piedi, con discrezione, e proprio per questo riesce a farle sentire amate. La sua conoscenza della Parola non è mai ostentata, ma sempre “spezzata” con gli altri. E il suo passaggio lascia sempre un sorriso».

Anche Amal Chinnappan ha conosciuto sin da piccolo suore e sacerdoti, frequentando le scuole cattoliche dello Stato di Tamil Nadu, in India. «Dopo essersi laureato e aver trovato lavoro in banca – ci racconta il suo compagno Paul Jangam – ha fatto un pellegrinaggio al santuario di sant’Antonio di Alsoor, molto conosciuto in India. Lì è rimasto colpito nel vedere 400 sacerdoti a celebrare; pregando ha sentito la chiamata di Dio a diventare prete. È entrato in seminario e lo ha frequentato per quattro anni in India, due nelle Filippine e altri quattro in Italia. Lo ammiro molto quando si trova di fronte alle difficoltà: non prende mai decisioni a caso, considera sempre le conseguenze. Gli auguro che il Signore continui a donargli la forza di annunciare la buona novella».

E dall’India proviene anche Bala Joji Thippabathini. Lui il seminario lo ha frequentato in patria per dieci anni, laureandosi anche in economia e collaborando sia con i salesiani che con le Sorelle della Carità. Di lui, il suo amico Balaraju dice: «È un tipo umile, generoso, responsabile e sempre disponibile. Oltre che un grande giocatore di pallavolo, pallacanestro e cricket. Lo conosco da cinque anni e posso dire che ha sempre avuto un obiettivo chiaro, durante la sua formazione: annunciare il Vangelo. Per questo ha scelto di mettere sull’immaginetta della sua ordinazione la frase che l’ha motivato: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16, 15)».

La stessa frase che ha scelto il suo confratello Papaiah Marneni, indiano pure lui. Papaiah ha conosciuto i missionari del Pime da bambino, quando sono arrivati nel suo villaggio. Ha sviluppato per loro una forte gratitudine che lo ha spinto a conoscerli meglio e, alla fine, a entrare in seminario. Man mano che la sua vocazione prendeva forma, quella gratitudine si è trasformata in appartenenza all’Istituto. Papaiah si è messo nelle mani dei suoi formatori per diventare uno strumento al servizio degli altri e della Chiesa, attraverso le esperienze con i disabili, i bambini abbandonati, l’oratorio estivo, l’apostolato in parrocchia. La sua formazione è diventata così una strada di fede, speranza, forza, umiltà e coraggio.

«Ho conosciuto Phong mentre sudava sui libri di metafisica. Sudava sia per la difficoltà della materia, sia perché era estate. Ma aveva lo stesso sorriso, la stessa serenità che ho sempre trovato in lui». Così Mateus Didonet parla del suo amico Phongphang Worgarsa: «Lo vedo spesso con la chitarra in mano o con le sue caratteristiche scarpe da calcio fucsia. è sempre sorridente, affronta con serenità tutte le difficoltà della vita. E lui di peripezie ne ha passate tante, tra il seminario in Thailandia, la scuola di pedagogia a Bologna, l’assenza di certezze di quando è arrivato in Italia. Ma ha un grande coraggio. Sono doni che per un missionario sono preziosi e possono avere come base solo la fiducia nel Dio che adesso lo invia a cantare la sua gioia nel mondo».

Una storia di vocazione straordinaria è anche quella di Sai Manyam. Tutta la sua famiglia era induista, ma una grave malattia di suo padre ha scosso la loro fede portandoli a guardare a Gesù. La miracolosa guarigione del padre ha dato la spinta finale per una conversione completa. E ora sia Sai che suo fratello Pavan diventano sacerdoti: l’uno missionario, l’altro nella diocesi di origine, a Bellary, in India. «Alcuni aspetti di Sai mi stupiscono – ci racconta Subbarao Giddi, seminarista del Pime -. Soprattutto la sua capacità di essere convincente quando parla di ciò in cui crede. Ma anche la sua memoria stupenda e la sua instancabile curiosità di vedere cose nuove: vuole sapere le storie di ogni luogo che visita e di ogni persona che incontra. Spero che questo suo zelo non venga mai meno e che lo porti a essere un fecondo servo di Cristo».

«Un amico, un fratello, una persona davvero importante per me». È così che Fel Catan descrive il suo compagno di studi Regan Gomes, unico degli ordinandi proveniente dal Bangladesh. «Parlare di lui non è facile, perché apro uno spazio intimo del mio cuore. Regan per me è più di un amico, è come un fratello maggiore. È la prima volta che mi lego tanto a qualcuno che non è del mio Paese, e questo dimostra che l’amicizia va oltre le differenze. Lui è un uomo semplice con una grande visione della vita: per lui è un dono da valorizzare e condividere. È questo che lo spinge ad aiutare gli altri. A volte ha un modo di parlare molto autoritario, ma è perché è un uomo determinato. Attraverso lo studio e l’apostolato si sta preparando intensamente alla sua missione. Per lui la conoscenza, e la sapienza che ne deriva, è molto importante; ma non se fine a se stessa: solo se viene condivisa con gli altri».