Peter, il santo del Pacifico e i 30 denari per la guerra

San Pietro Chanel (1841), missionario francese, santa Mary MacKillop (1909), religiosa australiana, san Damiamo De Veuster (o di Molokai) (1889), missionario belga, beato Giovanni Mazzucconi (1855), sacerdote ambrosiano, beato Peter To Rot (1945), presto primo santo di pelle scura veramente originario del Pacifico. Decreto firmato da Papa Francesco il 28 marzo e reso noto tre giorni dopo.Ma chi è costui? Villaggio e parrocchia di Rakunai, diocesi di Rabaul, isola della Nuova Britannia Orientale, Papua Nuova Guinea, anno 1945, sotto l’occupazione giapponese. I missionari sono stati internati. Le comunità sono allo sbando. Solo qualche catechista fa del suo meglio, attentamente sorvegliato e senza la possibilità di raccogliere la gente. Solo visite e contatti personali. I fedeli sono la seconda generazione di cattolici. I missionari francesi del Sacro Cuore sono arrivati nei villaggi della costa nel 1882. La cultura tolai, il clan del luogo, è impregnata di stregoneria, di invidia e gelosia. Il matrimonio cristiano deve fare i conti con la pratica tradizionale della poligamia.
Peter To Rot, 33 anni, si divide tra i doveri della famiglia, moglie e tre figli, e il ministero pastorale. I registri coi suoi battesimi sono stati appena ritrovati. Il suo attivismo irrita non solo gli occupanti, che devono tenere a bada gli indigeni mentre le truppe alleate sono sempre più vicine, ma anche i suoi conterranei, che cercano di barcamenarsi come possono e certo non si arrabbiano quando i giapponesi reintroducono il diritto alla poligamia, avversato dai missionari e dalla precedente amministrazione coloniale australiana. Peter To Rot entra in rotta di collisione con i suoi stessi fratelli di sangue. «Fu il maggiore di loro, mio nonno materno, poi pentitosi, con il capo tribù a consegnarlo ai giapponesi», dice oggi senza difficoltà monsignor Rochus Tatamai, primo arcivescovo indigeno di Rabaul. Una grande festa, la canonizzazione.
Si celebra il martire, il catechista, il laico, il padre di famiglia, ucciso con un’iniezione letale all’età significativa e simbolica di 33 anni, tradito dai suoi per i trenta denari della poligamia e messo a morte dagli occupanti per sbarazzarsi di un agitatore e un concorrente, un’alternativa di vita alla morte morale e spirituale della conquista e della guerra. Non poteva forse esserci migliore similitudine alla morte di Cristo per il primo santo del Pacifico.
Allo stesso tempo la grande occasione spirituale della canonizzazione sarà la riflessione sulle cause profonde e inconfessabili della sua fine: non solo (e forse non tanto) quella della poligamia e della morale sessuale cristiana o pagana, ma la noia radicata e ancestrale della stregoneria, della doppiezza, dell’invidia e della gelosia. Cose che continuano a uccidere nei villaggi tolai e tutto intorno a Rabaul, nonostante la radicata e diffusa presenza delle Chiese cristiane. In altre parole: sarà un altro santo di plastica, che sorride e non si muove, con i tridui e le novene che non cambiano la mentalità diffusa, o lo spasmo della morte in faccia ai giuda e ai boia di allora e di oggi?
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