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Il Papa in Asia, ma l’India resta fuori

EDITORIALE
Il mancato atterraggio del Papa a New Delhi in occasione del prossimo viaggio in Asia è un potente campanello d’allarme, forse l’ultimo, per le minoranze indiane e per tutta la comunità internazionale

 

Papa Francesco parte a fine mese per Myanmar e Bangladesh, ma non riesce a fermarsi in India come era stato detto in fase di preparazione di questo viaggio in Oriente. Non è escluso che il governo di New Delhi, per savoir-faire, abbia inoltrato il suo invito ufficiale già nella prima metà dell’anno corrente, ma senza offrire ancora un’ipotesi di data, itinerario e programma. All’interno della Chiesa indiana, poi, le opinioni divergono sull’opportunità o meno della presenza di Francesco nel Paese, prima delle elezioni politiche del 2019. Alcuni ritengono che una sua parola di incoraggiamento gioverebbe ai cristiani e alle minoranze; altri che il governo nazionalista indù riuscirebbe a trarne vantaggi di immagine e legittimazione solo per sé. La sonora sconfitta elettorale del partito secolare e pluralista dell’Indian National Congress nel 2014, attribuita alla corruzione dilagante e al disinteresse per la popolazione e le aree rurali, a favore del Bharatiya Janata Party (Bjp), se replicata nel 2019 rischia di cambiare per sempre il volto politico e sociale dell’India.

Il Bjp affonda le sue radici in un movimento ideologico e paramilitare indiano della prima metà del ventesimo secolo, che rivendicava il diritto di una nazione esclusiva per gli indù; così come, a loro dire, i musulmani ne hanno nei Paesi arabi  e i cristiani in Europa. Si intensificano sotto questo secondo governo Bjp, come sotto il precedente di Atal Bihari Vajpayee (1998-2004), le subdole politiche di discriminazione ed emarginazione delle minoranze. Gruppi di squadristi attaccano luoghi di culto, riunioni, feste e celebrazioni di musulmani e cristiani, questi ultimi notoriamente non inclini alla risposta violenta. Il governo li condanna a parole, ma li sostiene nei fatti. Il partito ha interesse a diffondere tra la maggioranza indù la sensazione di minaccia e di accerchiamento. Deve conquistarne almeno il 35% circa alla propria causa alle elezioni politiche del 2019. Tanto basta in India per avere la maggioranza assoluta in Parlamento, permanendo la crisi del Congress Party e con il resto dell’opposizione frammentata e divisa.

A quel punto il Bharatiya Janata Party può avviare il processo di riforma della Costituzione per sostituire, tecnicamente in modo legale e democratico, allo Stato secolare voluto da Nehru e Gandhi nel 1947, la nazione indù. Le minoranze cristiane e di ogni altro genere subirebbero in pochi anni un brutale processo di esclusione soprattutto nel Centro-nord del Paese. La numerosa comunità musulmana  reagirebbe forse in modo violento, scatenando in quel caso un conflitto senza precedenti nel cuore della più grande democrazia del mondo.

Il mancato atterraggio del Papa a New Delhi in occasione del prossimo viaggio in Asia è quindi un potente campanello d’allarme, forse l’ultimo, per le minoranze indiane e per tutta la comunità internazionale.

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