Nella periferia di Yangon, i disabili sono al centro

Nella periferia di Yangon, i disabili sono al centro

La collaborazione tra New Humanity International e la Fondazione don Carlo Gnocchi ha permesso di avviare un programma per i disabili e le loro famiglie, in una zona periferica della capitale del Myanmar, nonostante la situazione politica molto precaria

È iniziato in uno dei momenti più tragici della storia del Myanmar, due mesi dopo il colpo di Stato che nel febbraio del 2021 ha di nuovo messo in ginocchio il Paese già duramente colpito dal Covid-19. Eppure, nonostante le difficoltà e la precarietà della situazione, il Programma di sviluppo inclusivo su base comunitaria promosso da New Humanity International, l’ong legata al Pime, e della Fondazione Don Carlo Gnocchi alla periferia di Yangon sta già dando i primi frutti. E questo grazie anche alla presenza di una coordinatrice, Teresa Sassu, che ha aperto le possibilità di avviare nuove collaborazioni nel settore della disabilità. In particolare, dopo aver effettuato alcune distribuzioni alimentari a Dala, un quartiere periferico della capitale, si è rilevato un crescente bisogno nel settore della disabilità, a cui le due organizzazioni hanno cercato di rispondere in maniera tempestiva.

«L’intervento congiunto – testimonia Teresa Sassu – è iniziato nell’aprile 2021. Abbiamo iniziato con una prima mappatura della zona e l’individuazione delle famiglie con una persona disabile a carico, con lo scopo di avviare delle attività che rispondessero ai loro bisogni riabilitativi, educativi e di inclusione sociale».

Il progetto riabilitativo è stato avviato presso il Dayamit Community College, con l’intenzione di sensibilizzare gli studenti e i frequentatori della scuola al “diverso”. «Poter vedere persone con disabilità fisiche o con evidenti ritardi dello sviluppo e osservare il lavoro di riabilitazione portato avanti da un fisioterapista e da un terapista “Mézières” ha permesso di far conoscere realtà sconosciute ai più», precisa Teresa.

Il programma mette al centro la persona e si fonda su un approccio olistico e multidisciplinare: si tratta, in sostanza, di lavorare “con” e “per” le persone con disabilità.

Da marzo 2022 esiste anche un centro riabilitativo separato, nel quale opera il team riabilitativo composto da una fisioterapista, un terapista “Mézières” e tre promotori. «È una squadra composta da ragazzi entusiasti e volenterosi – continua Teresa – che si stanno mettendo in gioco per contribuire allo sviluppo della loro comunità».

Attualmente sono 18 i beneficiari del programma che svolgono settimanalmente esercizi di fisioterapia ed educazione speciale, spesso in compagnia di bambini che vivono nelle vicinanze e che hanno perfettamente colto il senso di vicinanza e cura dell’“altro” in condizioni di necessità. «È molto bello osservare i primi passi verso l’inclusione e poter contare su una comunità che sta iniziando a capire la tipologia di intervento che portiamo avanti».

Concretamente, l’intervento consiste in sedute terapeutiche e attività di gruppo con minori e famiglie a cadenza settimanale, in referral medici e in visite domiciliari. Parallelamente, vengono proposti percorsi di formazione professionale e motivazionale degli operatori e collaborazioni con altre realtà locali perché i beneficiari ricevano un appropriato assessment clinico.

«Il lavoro da fare è tanto – commenta Teresa – anche in termini cambiamento della mentalità e di approccio alla disabilità: dalla presa in carico della persona, osservandone i bisogni e cercando di farvi fronte, all’esplorazione delle sue capacità in modo da aiutarla a vivere una vita dignitosa e piena, per quanto possibile».

Una particolarità del progetto di Dala sta nel fatto che i promotori sono tutti maschi, cosa abbastanza inusuale: di solito, nella società birmana, è la donna che svolge il ruolo di caregiver. Anche questo può essere un piccolo segnale di cambiamento di mentalità, che scardina lo stereotipo secondo il quale il ruolo di cura e assistenza sia prerogativa solo femminile e promuove un ruolo più attivo e partecipe degli uomini.

«Al momento – conclude la coordinatrice – le sfide sono molteplici, a partire dalla forte instabilità politica che non permette di lavorare serenamente, visti i controlli da parte dei militari, i numerosi check point e il divieto per le moto di circolare nel sobborgo. Questo comporta un notevole disagio, limita gli spostamenti e obbliga il team a trovare sempre nuove strategie per far fronte al problema del trasporto. Nonostante ciò, grazie alla motivazione, al forte spirito di gruppo e alla dedizione di tutti, continuiamo a fornire il nostro supporto e a implementare le diverse attività pensate per il prossimo futuro, a partire dagli assessment clinici e dagli incontri di sensibilizzazione dei genitori sul tema della disabilità».