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Sud Sudan: un grido muto per la pace

Domani è il quinto anniversario dell’indipendenza del Sud Sudan dal Nord. Ma senza pace c’è ben poco da festeggiare. Un fotografo ritrae il grido di pace scritto sui corpi degli sfollati.
Un Paese in guerra, sull’orlo del collasso economico a causa della continua situazione di instabilità. Il Sud Sudan, diventato indipendente dal Nord il 9 luglio di cinque anni fa sta vivendo un anniversario silenzioso. Il conflitto fratricida cominciato nel 2013 si è riacceso dopo che il presidente Salva Kiir e il suo vice Riek Machar, esponenti rispettivamente dell’etnia maggioritaria Dinka e di quella minoritaria Nuer, non sono riusciti a trovare un’intesa di pace. I combattimenti e le razzie mirate contro i civili hanno provocato la migrazione forzata di più di 200mila persone. Secondo Oxfam il 40% della popolazione vive nell’insicurezza alimentare. Insieme al fotografo americano Robert Fogarty Oxfam International ha dato voce al grido dei sud sudanesi ritraendoli con messaggi di pace scritti sul corpo. Le immagini fanno parte del progetto “Dear world” (clicca sulle foto per leggere le testimonianze).
Mary Moses, Mangaten Camp: “La pace ci ridarà indietro la nostra casa”
Ludia Mukhtar, Juba. 2 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le loro case da quando è inziato il conflitto nel 2013
Lombe Robert ha perso diversi compagni di classe nel conflitto. Spera che il Sud Sudan smetta di ricorrere alle armi per risolvere i problemi.
Thomas Dai è un disegnatore di fumetti. Per due anni è stato separato dalla madre a causa del conflitto e ha perso il suo migliore amico Simon. “Deve esserci un’aperta riconciliazione fra noi, così avremo la pace”
“Non posso vedere, ma Dio è nei miei occhi”. Caroline Ako, Mangaten Camp, è cieca e si sente spersa nel campo profughi. Ma ha voluto comunicare la sua profonda fede in Dio.
Awel Mayom, Mangaten IDP Camp, Juba. Awel è stata separata dai suoi figli a causa del conflitto e ha perso una cugina che era come una figlia per lei. Spera che il coflitto finisca così che le persone “non si sentano più perdute”.
Deng Magi Shol, Juba. Mondoj, un cugino al quale Deng era molto legato, è stato ucciso durante un conflitto a fuoco fra gruppi rivali. Deng ricorda come il cugino l’abbia sempre supportato e vorrebbe che fosse ancora vivo.
Nunu Gloria Yona, Juba. Nunu, ora a Juba, è stata separata dalla sua famiglia. Non lascia che le avversità la scoraggino e continua a sperare per l’unità e la pace del suo Paese.
Benson, che soffre di poliomelite, ha perso la moglie nel conflitto a Juba. Ora è rimasto solo a prendersi cura dei suoi quattro figli nel campo per gli sfollati.

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