Papa Francesco: «Sorella, lo sai che ho una predilezione per il Centrafrica?».

Papa Francesco: «Sorella, lo sai che ho una predilezione per il Centrafrica?».

 

Sono le parole con cui il Papa aveva accolto suor Elvira Tutolo in Vaticano. E ora il Pontefice è in visita in quel martoriato Paese. «Grazie Francesco! Portaci la pace», dice ora le religiosa, che ha visto uccidere duecento suoi “figli” nel conflitto centrafricano

«”Sorella, lo sai che ho una predilezione per il Centrafrica?”. Mi ha accolto così Papa Francesco e non potevo credere alla mie orecchie!». Si meraviglia ancora suor Elvira Tutolo quando ricorda il suo incontro con il Pontefice nel novembre del 2014. Termolese, suora della carità di santa Antida e missionaria in Centrafrica da quindici anni, non si aspettava certo una simile accoglienza dal Santo Padre. Lei è piuttosto abituata ai tanti che il Centrafrica non sanno neppur collocarlo sulla cartina geografica e lo confondono con una regione del continente.

Allora, poi, del viaggio del Papa in Africa non se ne sapeva ancora nulla. E tanto meno della sua volontà di recarsi in uno dei Paesi più pericolosi e devastati dalla guerra.

«“Se questi mi lasciano  – ha aggiunto Francesco girandosi in tono scherzoso verso i suoi collaboratori –  prima della fine del prossimo anno verrò in Centrafrica”», ricorda suor Elvira. «Poi mi ha chiesto: “E tu cosa fai?”. “Quasi niente – ho risposto -. Sono una donna sulla strada”. “Bene, bene…”, ha detto. E ora Francesco sta percorrendo le strade di questo mio Paese d’adozione, così martoriato e sofferente».

Sembrava impossibile allora. E sembra un  miracolo pure adesso, ma Papa Francesco – certamente contro l’opinione di molti che avranno cercato di scoraggiarlo – mette piede in Repubblica Centrafricana

«Ancora non ci posso credere! – esclama suor Elvira -. Alla fine è venuto davvero!».

Ed è un grande segno di speranza. È questa certamente la parola-chiave della visita di Francesco in un dei Paese più poveri al mondo, dove dal 2013 una guerra fratricida ha distrutto il poco che esisteva e ha diviso ancora di più la popolazione.

 

Suor Elvira, quella guerra l’ha vissuta in prima persona e sulla pelle dei suoi ragazzi. «È come se avessero ucciso duecento figli miei», racconta con costernazione. «Spesso mi tornano in mente e nei sogni immagini di sangue – racconta -. Tutti quei ragazzi uccisi e spesso torturati. Quanta malvagità! È una cosa che ti scava dentro. Ed è difficile rimuoverla. Una volta mi hanno preso un ragazzo, Sergio, e lo hanno crivellato di colpi. Poi lo hanno buttato sulla pista di un piccolo aeroporto lì vicino: nessuno è andato a prenderlo. Allora ho chiamato alcuni papà del nostro progetto Kizito. Siamo andati insieme e abbiamo scavato una fossa, dove lo abbiamo seppellito. Conservo ancora i proiettili con cui lo hanno massacrato: 16 pallottole che non riesco a buttare via. La notte spesso mi sveglio con incubi terribili. Ma ho fiducia che passerà. A maggior ragione  adesso che in questo nostro povero Centrafrica è venuto addirittura il Papa».

Come suor Elvira, a Berberati, molti sperano che Francesco faccia il miracolo della pace. In questa cittadina, verso il confine con il Camerun, hanno vissuto a lungo l’occupazione, le violenze e le prepotenze dei ribelli Seleka. Che quando se ne sono andati hanno saccheggiato e portato via tutto quello che hanno potuto caricare sui camion.

«È stata una liberazione – sostiene la religiosa – anche se le cose non sono migliorate di molto». Se a Bangui, infatti, la situazione continua a essere tesa in alcuni quartieri, nel resto del Centrafrica è il caos più assoluto. Un Paese fuori controllo.

A Berberati, la religiosa è stata a lungo la responsabile del Centro culturale cattolico, un luogo molto vivace di attività e iniziative dedicate in particolare ai giovani. Ma al contempo, suor Elvira ha consacrato molta della sua missione alla strada. Ovvero ai quei bambini e ragazzi abbandonati o cacciati di casa, accusati di stregoneria, picchiati brutalmente e in alcuni casi vittime di tentativi di omicidio; ma anche molti ragazzi che cercavano di abbandonare i gruppi armati che li avevano reclutati a forza. Una realtà disperata, per molti versi, ma anche ricca di potenzialità, su cui suor Elvira ha investito molte energie.

«Per me un bambino ha bisogno di un papà e di una  mamma, non di una suora. Per questo ho coinvolto alcune coppie di giovani sposi con i quali abbiamo cominciato a riflettere sulla loro vita di famiglia sulla capacità di dialogare e di accogliere. Si è consolidata una bella amicizia con queste coppie. E un po’ alla volta è aumentato anche il numero delle coppie. Adesso sono una trentina quelle che accolgono gli ex ragazzi di strada come se fossero figli loro. E una decina di questi bambini divenuti adulti, sono diventati, a loro volta, coppie e famiglie disponibili ad aiutare altri ragazzini che si trovano oggi nelle situazioni disperate da cui loro usciti. Dalla fraternità nata in maniera del tutto informale, sono nate così le “Coppie Kizito”, dal nome del più piccolo dei martiri dell’Uganda, che il Papa ha ricordato in questi giorni, e quindi l’ong Kizito riconosciuta a livello nazionale».

La guerra però ha complicato tutto. Ma queste famiglia non hanno desistito, nonostante le difficoltà. «Anzi – dice suor Elvira – durante la guerra si sono ancora più unite e sostenute tra di loro».

La religiosa racconta di un papà del suo gruppo che avendo visto in strada una donna incinta in gravi difficoltà l’ha portata immediatamente all’ospedale. Per la donna, tuttavia, non c’è stato niente da fare. E la neonata di appena un chilo è stata accolta da lui e sua moglie, perché i nonni al villaggio non avevano niente. L’hanno chiamata Elvira e l’hanno tenuta con loro, anche durante la guerra, quando sono dovuti scappare in foresta. La bambina però si è ammalata e quando l’hanno portata in ospedale non c’era nessuno per curarla. Impossibile poi andare a Bangui, per via dei posti di blocco dei ribelli. La bambina è morta ed è morto anche il papà adottivo, pure lui ammalato e impossibilitato a curarsi.

«Moltissime persone in Centrafrica sono morte direttamente a causa della guerra – commenta triste suor Elvira -, ma molte di più continuano a morire perché non hanno da mangiare o non possono curarsi quando sono malate».

Per far fronte a questa situazione di povertà che si è ulteriormente aggravata in questi ultimi anni – e per  dare una prospettiva di futuro ai suoi ragazzi – suor Elvira aveva avviato anche Centro di formazione agricola, con una parte educativa e una parte di lavoro vero e proprio.

«Come possiamo pensare di impedire a questi giovani senza prospettiva di arruolarsi nei gruppi ribelli se non offriamo loro un lavoro su cui costruire il loro futuro?- si interroga la religiosa -. E come possiamo pretendere che quelli che sono stati arruolati lascino quella vita di violenza, in cui cercano di sopravvivere usando la forza? Solo con l’istruzione e il lavoro possiamo pensare di costruire qualcosa. Ma sono pochi quelli disponibili ad aiutare in questo senso. Anche le grandi agenzie umanitarie ti ascoltano se chiedi aiuti di emergenza, ma se cerchi di costruire qualcosa di duraturo per il futuro spariscono tutti».

Suor Elvira è amareggiata. Lo scorso maggio, infatti, è stata costretta a chiudere il Centro agricolo per mancanza di fondi. «Tutti quelli che avevo, ho dovuto usarli per le emergenze – dice -, ma non riesco a darmi pace per la chiusura di questo Centro, che rappresentava davvero un investimento sul futuro».

Suor Elvira, tuttavia, non si arrende. E la visita di Papa Francesco le dà nuovo entusiasmo: «Il fatto che apra la Porta santa del Giubileo proprio nella nostra capitale Bangui è un segno importantissimo. Contro quella porta avevano sparato e adesso Papa Francesco la apre al mondo. È un gesto di grande incoraggiamento per me e per tutti i centrafricani, che si sentono abbandonati da tutti. Spero davvero che riporti la pace in questo Paese, dove hanno seminato tanto odio nel cuore della persone. Grazie Papa Francesco di essere venuto in Centrafrica!».