Uganda, sarà beato padre Ambrosoli

Uganda, sarà beato padre Ambrosoli

Figlio del fondatore dell’omonima azienda del miele, medico e missionario comboniano, morì nel 1987 dopo essersi letteralmente consumato per mettere in salvo durante la guerra i pazienti del suo ospedale a Kalongo. Il Papa ha firmato il decreto su un miracolo avvenuto per sua intercessione

 

Un missionario italiano morto nel 1987 si prepara a diventare presto beato. Papa Francesco ha infatti approvato la promulgazione del decreto che riconosce un miracolo avvenuto per intercessione di padre Giuseppe Ambrosoli, medico e missionario comboniano che per trent’anni ha vissuto la sua vocazione al servizio dei poveri in Uganda.

Veniva da una famiglia importante padre Ambrosoli: a Ronago – un paese della provincia di Como, a due passi dalla Svizzera – era infatti uno dei figli del fondatore dell’omonima azienda del miele. Avrebbe avuto davanti a sé la possibilità di una vita agiata, ma fin da giovanissimo si iscrisse alla facoltà di medicina con il desiderio di partire per la missione. «Dio è amore, c’è un prossimo che soffre ed io sono il suo servitore», spiegò ai familiari la sua vocazione.  Conseguita la laurea in medicina e chirurgia entrò tra i Missionari comboniani per i quali fu ordinato sacerrdote dall’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini. Nel febbraio 1956 s’imbarcò per l’Africa dove fu presto destinato a Kalongo, un villaggio sperduto nella savana, nel nord Uganda, per gestire un piccolo dispensario medico: una piccola capanna con il tetto di paglia che sarebbe diventato per trent’anni tutta la sua vita.

Grazie alla sua grande professionalità, l’instancabile dedizione, la sua incrollabile fede e lo spirito imprenditoriale, padre Giuseppe riuscì a trasformarlo in un ospedale efficiente e moderno. E – fedele al motto di Daniele Comboni, «salvare l’Africa con l’Africa» – accanto all’ospedale fondò la St. Mary’s Midwifery Training School, oggi ufficialmente riconosciuta come una delle migliori scuole di ostetricia del Paese.

Chi lo ha conosciuto ricorda la sua quotidiana dedizione agli ammalati: «Al mattino iniziava a operare prestissimo – ha raccontato in un’intervista la nipote Giovanna – poi alle due mangiava un boccone, quindi via all’ambulatorio. Nel tardo pomeriggio la celebrazione della Messa e l’attività pastorale e la sera l’incontro con i medici e poi ancora lo studio fino a tarda notte». Questa sua dedizione senza riserve divenne trasparente nel momento più drammatico: il 13 febbraio 1987, nel pieno della guerra civile che flagellava il nord Uganda, padre Giuseppe fu costretto per ordine militare a evacuare l’ospedale. In quelle ore drammatiche i collaboratori lo sentirono dire: «Quello che Dio chiede non è mai troppo». Dopo aver messo in salvo a Lira il personale medico e i malati, Ambrosoli riuscì a salvare anche la scuola di ostetricia. Ma questo sforzo minò irreparabilmente la sua salute già precaria: il 27 marzo 1987, appena 44 giorni dopo l’evacuazione dell’ospedale, morì per una crisi renale pochi minuti prima che arrivasse da Kampala l’elicottero inviato in suo soccorso.

Due anni dopo a Kalongo l’ospedale poté riaprire grazie all’opera del confratello comboniano padre Egidio Tocalli e lì oggi padre Giuseppe Ambrosoli è sepolto. Quello che era un piccolo dispensario – grazie anche al sostegno della Fondazione a lui intitolata – oggi garantisce assistenza sanitaria qualificata a più di 50.000 persone e coordina 33 dispensari locali in una delle aree più povere dell’Uganda. Un miracolo quotidiano che oggi viene riconosciuto anche come una grande storia di santità.

La storia di padre Giuseppe Ambrosoli è raccontata nel libro di Elisabetta Soglio e Giovanna Ambrosoli «Chiamatemi Giuseppe. Padre Ambrosoli, medico e missionario» Edizioni San Paolo (2017)