Onu, l’impegno dal basso
Rete mondiale presente in 121 Paesi, Vivat International porta la voce dei missionari e dei gruppi più poveri e marginalizzati ai massimi livelli. Ascoltalo anche in PODCAST
Che cosa ci fanno i missionari e le missionarie all’Onu? Nulla di molto diverso da quello che fanno ovunque nel mondo. Nel Palazzo di Vetro di New York così come al Consiglio per i diritti umani di Ginevra portano avanti una testimonianza e un impegno di giustizia, pace e sviluppo sostenibile. E in questo modo, fanno arrivare ai massimi livelli la voce dei più piccoli, delle comunità con cui lavorano nei luoghi più remoti, poveri e dimenticati del pianeta e, allo stesso tempo, cercano di favorire decisioni e scelte che possano migliorare le condizioni di vita dei più svantaggiati. Lo fanno innanzitutto attraverso la rete di Vitat International, fondata nel Duemila dalla Società del Verbo Divino (Svd) e dalle Suore missionarie serve dello Spirito Santo (SSpS), a cui si sono unite altre dieci congregazioni religiose. Ne fanno parte anche i missionari e le missionarie comboniani e le suore scalabriniane italiane. Attualmente la rete conta circa 20 mila membri presenti in 121 Paesi.
«“Vivat” è una parola latina che significa “Che egli/ella/esso viva!” – spiega la segretaria esecutiva, suor Gretta Fernandes, SSpS, indiana -. Riflette il nostro desiderio più profondo che tutte le persone e tutta la creazione possano veramente vivere, non solo sopravvivere, ma prosperare, come Dio ha voluto».
Oltre che a New York, dove Vivat ha ottenuto lo status consultivo speciale presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (Ecosoc) e l’associazione al Dipartimento delle Comunicazioni globali (Dgc), l’organizzazione ha aperto un ufficio a Ginevra nel 2009 impegnandosi attivamente nella difesa dei diritti umani. Più recentemente, nel 2022, è divenuta osservatore presso la Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc), a Bonn, e nel 2023 presso il Programma per l’Ambiente (Unep), a Nairobi.
«Collaborando a stretto contatto con molti organismi delle Nazioni Unite, ci impegniamo soprattutto per l’eradicazione della povertà, l’emancipazione femminile, lo sviluppo sostenibile, il peacebuilding e il dialogo interculturale, mantenendo l’attenzione primaria sulla protezione e la promozione dei diritti umani. Ma il valore unico di Vivat – precisa la religiosa – risiede nella capacità di portare le voci della base, in particolare delle comunità sottorappresentate, collaborando con vari individui e organizzazioni della società civile, a livello locale, nazionale e internazionale».
Un esempio recente riguarda l’intervento dello scorso 23 giugno al Consiglio per i diritti umani di Ginevra sull’uccisione di circa duecento sfollati nello Stato di Benue, in Nigeria. Vivat ha chiesto di intervenire presso le autorità nigeriane affinché si assumano le loro responsabilità e adottino misure urgenti e concrete per proteggere le comunità vulnerabili. In altre circostanze Vivat ha supportato le iniziative delle popolazioni indigene dell’Amazzonia, testimoniando di sfollamenti e distruzione ecologica. E molto spesso ha presentato dichiarazioni formali per la difesa dei diritti delle donne e dello sviluppo sostenibile. «Attraverso questi e molti altri interventi, Vivat non solo sensibilizza, ma influenza la revisione delle politiche nazionali, facendo sì che le esperienze locali influenzino anche i meccanismi di responsabilità internazionale».
Quanto all’implementazione degli Obiettivi dello sviluppo sostenibile (Oss) – su cui la rete si è impegnata moltissimo in fase di definizione – il giudizio oggi è in chiaroscuro. Suor Gretta parla di «progressi disomogenei, con lacune notevoli» in particolare sugli obiettivi relativi all’azzeramento della povertà (Oss 1), all’uguaglianza di genere (Oss 5), alla riduzione delle diseguaglianze (Oss 10) e ai temi di pace, giustizia e istituzioni forti (Oss 16). «Sebbene siano stati compiuti alcuni progressi nella riduzione della povertà, nell’accesso all’istruzione e all’acqua – fa notare -, Vivat osserva battute d’arresto dovute a conflitti, disuguaglianze e degrado ambientale. Oggi, la natura della politica mondiale ostacola anche il raggiungimento degli obiettivi relativi alla pace e alle migrazioni sicure».
Tutto il tema del cambiamento climatico, inoltre, ha interpellato da vicino la rete, imponendo di adattare impegno e strategie alle nuove sfide emerse negli ultimi anni. «Continuiamo a rispondere “al grido della terra e al grido dei poveri”, partecipando attivamente alla Piattaforma d’Azione Laudato si’. Inoltre, in questo momento, siamo impegnati a preparare i nostri membri alla COP30 e abbiamo collaborato con altri gruppi religiosi a Roma nella stesura di una dichiarazione da sottoporre ai governi della Conferenza delle parti». La dichiarazione si focalizza su quattro punti. Il primo – in un’ottica giubilare – riguarda la cancellazione del debito dei Paesi poveri. Il secondo, il rafforzamento del Fondo per le perdite e i danni (Ldf) con risorse sufficienti per affrontare gli impatti climatici. Il terzo è incentrato sulla definizione di obiettivi di transizione energetica equi, tenendo conto delle responsabilità storiche, dei diritti indigeni, del valore della natura e dei mezzi di sussistenza sostenibili rispetto al profitto. Infine, l’individuazione di obiettivi concreti per costruire un sistema globale di sovranità alimentare basato su pratiche agroecologiche con modalità di produzione, trasformazione, distribuzione e consumo culturalmente adattate.
Una cosa fondamentale su cui insiste suor Fernandes è la creazione di ponti e di connessioni tra le esperienze locali e le piattaforme globali. «I nostri membri sono spesso suore, sacerdoti, missionari e laici, che vivono in comunità e instaurano rapporti di fiducia con i gruppi emarginati. Questo permette di raccogliere dati autentici, accurati e tempestivi. In molti Paesi, inoltre, sono stati creati gruppi e sezioni nazionali, che aiutano Vivat a portare le problematiche di base all’attenzione della comunità globale».

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