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La missione di Leone XIV

«La lunga esperienza di Robert Francis Prevost in Perù segnerà il suo Pontificato», afferma suor Birgit Weiler, che lì lo ha conosciuto bene. Una sensibilità chiara già dalle prime parole e dai gesti dopo l’elezione

«Sono un missionario, sono venuto inviato, sono stato con voi con grande gioia. Ma ora lo Spirito Santo mi indica una nuova missione e, anche se può essere difficile, devo dire: “Sì Signore, se mi hai chiamato, risponderò”». Così, nell’aprile del 2023, l’allora arcivescovo Robert Francis Prevost si congedava dalla comunità peruviana di Chiclayo per assumere l’incarico di prefetto del Dicastero per i vescovi, lasciando un Paese dove era arrivato esattamente quarant’anni fa, da giovane sacerdote agostiniano, per servire gli ultimi, dall’Amazzonia alla Sierra andina fino alle comunità della costa sull’oceano.

Un’esperienza destinata a segnare il Pontificato di Leone XIV, come lui stesso ha voluto dire al mondo con le sue primissime parole dopo l’elezione, in quel discorso emozionato dalla loggia di San Pietro durante il quale ha anche voluto salutare con affetto, in spagnolo, la sua ultima diocesi in terra peruviana: «Dobbiamo cercare insieme come essere una Chiesa missionaria, una Chiesa che costruisce ponti di dialogo, sempre aperta a ricercare tutti coloro che hanno bisogno della nostra carità, della nostra presenza, dell’amore».

Uno stile che ha guidato i suoi anni a fianco del popolo peruviano, plasmando anche la sua riflessione teologica e spirituale. Prevost, nato e cresciuto nell’Illinois, mise piede per la prima volta in Perù, nella missione di Chulucanas, nel 1985. Fu poi a Trujillo, dove arrivò due anni dopo, che cominciò a radicare il suo impegno pastorale, proseguito per dodici anni in diverse zone, da Iquitos, il grande porto fluviale sul Rio delle Amazzoni, alla regione di Apurímac, tra i monti del Sud.

«Cercava sempre di raggiungere anche le comunità più isolate e povere, così che, attraverso la sua presenza, le persone potessero percepire che Dio non le aveva dimenticate, che era con loro anche in situazioni molto difficili», ricorda suor Birgit Weiler, della congregazione delle Suore missionarie mediche, nel Paese latinoamericano da 35 anni. La religiosa tedesca ha condiviso molte esperienze con l’attuale Papa Leone, sia nel passato sia in tempi recenti: «Abbiamo avuto modo di conversare a lungo anche quando era già cardinale, e ho apprezzato molto la sua grande abilità di ascoltare con mente e cuore aperti, con rispetto e anche empatia. Prevost cerca di comprendere il background del suo interlocutore e apprezza molto la pluralità delle culture presenti nella Chiesa e nel mondo».

Una sensibilità coltivata nei dodici anni in cui ha ricoperto l’incarico di priore generale degli agostiniani, quando ha avuto occasione di visitare decine di missioni dell’Ordine, presente in più di cinquanta Paesi, dall’Africa all’Asia oltre che nella “sua” America Latina. Dove è tornato, nel 2024, come pastore di Chiclayo: diocesi di oltre un milione di persone nel dipartimento peruviano di Lambayeque, in cui operavano soltanto novanta sacerdoti. Le ormai celebri immagini del vescovo a cavallo nelle remote aree rurali non sono istantanee folkloristiche di qualche occasione speciale: nella Sierra del Nord, dove non ci sono strade ma solo sentieri tortuosi, lui montava in sella per tre o quattro ore per raggiungere le comunità dei villaggi andini.

«Era un vescovo molto vicino alla gente – racconta ancora suor Birgit (nella foto sopra) -. Anche quando camminava per le strade di Chiclayo era solito fermarsi con le persone per salutarle e ascoltarle: era interessato alle loro vite, soprattutto a quelle di chi viveva ai margini della società». Una società a volte segnata da piaghe come malnutrizione infantile e lavoro minorile. Nel 2015, in un discorso all’Università Cattolica Santo Toribio de Mogrovejo di cui era Gran cancelliere, monsignor Prevost denunciava: «Proprio qui nella nostra regione ci sono divari tra le famiglie più povere e quelle più ricche, e tra le aree urbane e quelle rurali. Servono strategie e politiche che consentano di uscire dall’esclusione e dalla disuguaglianza: oggi la sfida più grande è lo sradicamento della povertà, imprescindibile per uno sviluppo sostenibile e integrale orientato al bene comune di tutti, nel presente e nel futuro, e della natura».

Proprio la difesa del creato è un altro dei temi su cui il pastore agostiniano ha dimostrato particolare sensibilità. Durante le piogge torrenziali che hanno messo in gi­nocchio il Perù, nel 2017 e poi due anni fa, ha alzato la voce per denunciare la minaccia rappresentata dai cambiamenti climatici, in particolare per i più vulnerabili. Ma è anche sceso per le strade allagate per coordinare i soccorsi. «Tante regioni erano sott’acqua, molte famiglie avevano perso tutto – ricorda suor Weiler -, e il vescovo voleva fare percepire loro che non erano sole. Lui è così: desidera che la Chiesa, fatta da tutti noi con i nostri diversi ministeri, e anche con le nostre fragilità e incoerenze, possa essere segno della presenza di Dio nel nostro mondo ferito. Con lo stesso spirito si è dato da fare durante la pandemia di Coronavirus».

In quel periodo terribile, grazie alla campagna “Ossigeno della speranza”, ha acquistato due respiratori e si è appellato alla sanità pubblica per chiedere interventi a favore dei cittadini meno tutelati e di quelli più esposti alle conseguenze dei lockdown, come i lavoratori informali, i due terzi della manodopera locale. Nel dicembre 2020, ai suoi fedeli scriveva: «È stato un anno di dolore e morte e ci chiediamo come è possibile che Dio sia in mezzo a noi nonostante la sofferenza. Sant’Agostino, rispondendo a una persona che soffriva per la morte di una persona cara, rispose: “Dobbiamo comprendere il dolore e le lacrime di coloro che sono tristi, ma non piangere come quelli che non conoscono la promessa di Cristo”». E continuava: «Questo Natale non abbiamo potuto organizzare i nostri soliti incontri, i pasti comuni, la cioccolata calda, ma la fede è sempre ecclesiale, ci rende fratelli: non possiamo vivere una fede senza solidarietà e fraternità». Prevost lanciava così l’iniziativa “Resucita Perú, ora” per «condividere qualcosa della nostra povertà con chi ha meno».

Racconta suor Birgit: «Nel coordinamento dei progetti pastorali della diocesi, voleva sempre che anche i laici, uomini e donne, avessero spazio e posizioni di leadership, così da portare nella vita della Chiesa le loro ispirazioni e abilità. Provava già a mettere in pratica i principi sinodali su cui abbiamo riflettuto in questi anni e sono convinta che, da Pontefice, Leo­ne aiuterà la Chiesa a implementare questi principi».

Tra i lasciti degli anni in missione c’è anche l’impegno nel mondo accademico. Davanti agli studenti dell’Università Cattolica di Chicalyo delineava così la sfida dell’ateneo: «Dobbiamo formare professionisti con competenza scientifica, dotati di genialità e innovazione e con una profonda sensibilità sociale che tenga conto dell’effettivo accesso ai diritti fondamentali, come il cibo, l’istruzione, la salute». E quando, il 15 novembre del 2023, a Lima la Pontificia Università Cattolica del Perù gli ha conferito la Medaglia d’onore, il vescovo missionario ha rilanciato: «L’Università può insegnare molto alla società promuovendo i valori della pace, del dialogo e della capacità di risolvere i conflitti, di cui il Perù soffre così spesso».

In quell’occasione, Prevost era diventato da poco cardinale, ed era stato nominato da Papa Francesco prefetto del Dicastero per i vescovi e presidente della Pontificia commissione per l’America Latina, incarichi che lo hanno portato ad allontanarsi dall’amata missione. Alla vigilia della sua partenza per Roma, tuttavia, ha promesso ai suoi fedeli: «Ora Chiclayo sarà presente nel cuore della Chiesa, in Vaticano». E oggi che il giovane agostiniano dell’Illinois è diventato Papa Leone XIV, quella promessa assume un valore speciale, per il Perù e per tutto il mondo.

«In questo nostro tempo – ha affermato durante la Messa di inizio Pontificato – vediamo ancora troppe ferite causate dall’odio, dalla violenza, dai pregiudizi, dalla paura del diverso, da un paradigma economico che sfrutta le risorse della Terra ed emargina i più poveri. E noi vogliamo essere, dentro questa pasta, un piccolo lievito di unità, di comunione, di fraternità». Un impegno da portare avanti insieme – perché «se la pietra è Cristo, Pietro deve pascere il gregge senza cedere mai alla tentazione di essere un condottiero solitario» – e «senza chiuderci nel nostro piccolo gruppo». L’esortazione del Papa è stata chiara: «Costruiamo una Chiesa missionaria, che apre le braccia al mondo, che annuncia la Parola, che si lascia inquietare dalla storia, e che diventa lievito di concordia per l’umanità».

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