Minoranze umiliate
Ho cercato più volte, con qualche “scheggia”, di far intuire la complessità della situazione che il Bangladesh sta vivendo, dopo la rivolta che nel luglio dell’anno scorso ha rovesciato il regime, e la conseguente situazione di incertezze, contraddizioni e disordini, buoni propositi e grandi aspirazioni unite alla persistente corruzione, mentre la violenza cresce.
In questo contesto, la situazione delle minoranze etniche sparse sul territorio, specialmente nell’area collinare chiamata “Chittagong Hill Tracts”, nel sud est, è un capitolo a sé. Mi risulta che in Italia si parli qualche volta dei rohingya, oltre un milione, fuggiti dal Myanmar e ospitati in campi profughi “blindati” nel sud, che sopravvivono grazie a ingenti aiuti internazionali, bruscamente ridotti quando gli Stati Uniti hanno interrotto le donazioni di Usaid. Ma questo problema ha risvolti particolari, perché tocca il tema specifico dei rapporti con il Myanmar, a cui il Bangladesh spera di riuscire a rinviare i rohingya, anche se le prospettive che ciò avvenga sono poche…
Ben prima che arrivassero i rohingya, queste colline erano abitate da gruppi etnici diversi, che dal tempo dell’indipendenza dalla Gran Bretagna (1947) e poi dal Pakistan (1971) fanno parte del Bangladesh e chiedono invano un’identità specifica che li distingua dai cittadini di cultura, lingua, religioni (islam e induismo) bengalesi.
Inglobati nel Pakistan, e poi nel Bangladesh, senza tener conto delle loro differenti esigenze, vari gruppi tribali hanno fatto ricorso alla guerriglia antigovernativa, che si è conclusa con un accordo di pace oltre 25 anni fa. L’accordo era che i ribelli avrebbero deposto le armi, il governo avrebbe demilitarizzato la zona e definito una identità che permettesse loro di avere rapporti di uguaglianza di diritti pur nelle diversità storiche, linguistiche, culturali e religiose. Di fatto, i ribelli hanno consegnato le armi, ma la smilitarizzazione non s’è vista e le condizioni di discriminazione sono peggiorate, mentre le terre dei gruppi tribali vengono confiscate “legalmente”, senza tener conto delle esigenze specifiche di chi vi abita, o illegalmente, con una violenza che non viene mai punita. Rapidamente la percentuale dei bengalesi residenti è aumentata, specie nelle zone urbane dove ora superano il 50%; in caso di conflitto sono spalleggiati da esercito e polizia, e hanno partita vinta.
Mentre tutto il Bangladesh si interroga su come rinnovarsi, migliorare, vivere nella giustizia, ecc. le minoranze tribali sono semplicemente ignorate: associazioni di gruppi etnici, riunioni di studio, pubblicazioni, sostengono che questa è l’occasione in cui si deve definire con chiarezza una condizione di parità, nel rispetto delle differenze, fra gruppi tribali minoritari e maggioranza bengalese. Ma, che io sappia, nessuno dei partiti che si preparano alle elezioni (febbraio 2026) del “nuovo Bangladesh” ha nel suo programma le minoranze tribali: silenzio assoluto. Pur avendo come “consigliere principale” un “Premio Nobel per la pace”, neppure il governo provvisorio presta attenzione a questo problema. Il che significa che, per loro, non esiste. Ultimamente, qualcuno ha chiesto come mai uno stupro seguito da proteste dei tribali ha dato l’alibi a un intervento dell’esercito, che ha sparato su di loro uccidendone almeno quattro, picchiando e ferendone parecchi. Risposta: chi protestava era sobillato dall’India e dai fascisti (sic)…
Tempo fa, in una mia scheggia, ho riportato lo scritto di un aborigeno che, riferendosi a una serie di stupri e omicidi di ragazze tribali, si chiedeva: «Quando finirà il pianto di queste colline?».
Anche ora, mentre persone che conosco e a cui voglio bene mi parlano piangendo di tante ingiustizie che si ripetono provocando morte, disperazione e rovina economica di povera gente, ascolto con pena le loro domande senza risposta. Non posso fare altro che trasformare in preghiera il dolore di questi popoli, che vedono piangere anche le loro colline, e di tradurre dall’inglese l’espressione del loro desiderio di non lasciarsi schiacciare dall’umiliazione e dall’ingiustizia, perché qualcun altro, leggendo, li senta vicini e voglia loro bene.
«Il sangue di mio fratello non sarà mai inutile, le lacrime di mia sorella non cadranno senza essere viste. Il grido di una madre, la sua sofferenza senza fine sorgeranno un giorno come un tuono sulle colline serene. Anche se il buio spande la sua ombra pesante, l’aurora verrà, il sole sorgerà. Raggi dorati passeranno fra le nubi, la luce della luna guarirà i cieli feriti.
Le macchie di sangue scompariranno, le vallate verdi canteranno di un giorno luminoso. Gli uccelli torneranno con canti di pace. E nel sorriso della mia mamma si esprimerà la libertà. Le fiamme brucianti si spegneranno un giorno, campi e fattorie fioriranno. I bimbi andranno a scuola senza paura. Le loro voci di pace riecheggeranno serene…».
Dhaka, 30 settembre 2025
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