Pyongyang invita il Papa. Quale spazio per i cristiani?

Pyongyang invita il Papa. Quale spazio per i cristiani?

L’ANALISI
Il messaggio fatto arrivare in Vaticano attraverso il presidente sudcoreano ha un evidente significato politico. Ma va anche nella linea di un filo sottile che – nonostante tutte le contraddizioni – in questi anni la Chiesa di Seul ha tenuto allacciato con pazienza

 

Importante sia per i rapporti tra Santa Sede e Corea del Sud, sia per la possibilità di verificare con il presidente cattolico Moon Jae-in la “presa” del cattolicesimo nel Paese estremo orientale assediato dal disinteresse religioso, l’incontro del 18 ottobre a Roma con il Papa ha anche dato la possibilità a Moon di consegnare a Francesco un messaggio del leader nordcoreano Kim Jong-un con l’invito a visitare il suo Paese.

Una mossa che ha valenze diplomatiche e si inserisce nella necessità per la Corea del Nord di evitare l’isolamento mentre cerca di convincere gli avversari di sempre (Corea del Sud, Stati Uniti, anzitutto) a avviare un dialogo di pace. L’incontro del 18 ottobre era stato preceduto di un giorno dalla “Messa per la Pace” presieduta dal Segretario di Stato, il Card. Pietro Parolin nella Basilica di San Pietro.

Una pace mai siglata da un trattato dalla fine della guerra coreana nel 1953. La linea dell’armistizio sul 38° parallelo che dal 1953 divide la penisola in due Stati gemelli e rivali, ha creato una frattura tra una comunità cattolica senza pastori e perseguitata al Nord e una strutturata e pienamente partecipe dello sviluppo nazionale al Sud. La domanda è: quanto spazio c’è davvero oggi per i cristiani in Corea del Nord, Paese che segue la falsariga di altri dominati da un partito unico di indirizzo comunista in cui la Costituzione garantisce la libertà di religione ma ne limita fortemente la pratica?

Questo non toglie senso a momenti di svolta, o almeno percepiti come tali, ma ne limita la portata all’interno delle politiche ufficiali. Come la Messa celebrata il 12 ottobre 2015 a Pyongyang da preti sudcoreani, culmine della prima visita di vescovi cattolici al Nord dal 2008 e quella del dicembre successivo del presidente della Conferenza episcopale coreana, mons Hyginus Kim Hee-joong alla guida di una delegazione di quattro vescovi (oltre che 13 sacerdoti) che non ha portato però gli sviluppi allora auspicati.

In questo processo, stentato e illuminato da eventi episodici più che dalla continuità dei rapporti, va ricordata anche la visita a Pyongyang dello scorso maggio del Segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese Olav Fykse Tveit e di quello della Comunione delle Chiesa riformate, Chris Ferguson su invito della Federazione cristiana coreana (istituzione governativa). Alla fine della visita, in un comunicato congiunto, i due visitatori avevano confermato di «celebrare e confermare la dichiarazione congiunta di impegno per realizzare una Penisola coreana libera dal nucleare attraverso la completa denuclearizzazione». Un’indicazione che le istanze religiose si intersecano e sono sottoposte a quelle politiche e strategiche, senza per questo mancare all’impegno dei pastori per i battezzati ma anche per ideali universali. Gli stessi che hanno sempre sotteso all’impegno della Caritas dei momenti di difficoltà della popolazione nordcoreana, dalla carestia a eventi naturali disastrosi.

Sicuramente un ruolo positivo può ora giocare la presidenza sudcoreana affidata dallo scorso anno a una personalità non solo di fede cattolica, ma anche di sicura convinzione pacifista e antinuclearista come Moon Jae-in. Quanto al Nord, che a sua volta ha teso la mano in un modo mai visto prima, lo ha però fatto – ricordano i critici e gli scettici – senza deviare dai suoi principi o mettere in discussione la dittatura atea che lo governa. Allo stesso modo, papa Francesco ha seguito con attenzione l’evoluzione della situazione coreana, ancor più dopo il suo viaggio dal 13 al 18 agosto 2014 in occasione della Sesta Giornata asiatica dei Giovani in cui aveva chiesto di respingere la «mentalità di sospetto e di confronto» per cercare invece nuove vie verso la pace.

In sintesi, forse mai come ora si delineano possibilità di garantire visibilità e sicurezza alla piccola cattolicità nordcoreana (3.000 fedeli riconosciuti ufficialmente, 40mila stimati), ma molto dipenderà dall’evoluzione complessiva della situazione estremo-orientale e dalle necessità interne al regime che sono anzitutto di garantirsi continuità e solidità.