«Cinque anni con Francesco visti da noi, periferia del mondo»

«Cinque anni con Francesco visti da noi, periferia del mondo»

Dalla Guinea Bissau padre Fabio Motta, missionario del Pime, racconta come i gesti e le parole di Francesco stanno lasciando un segno profondo anche in una parrocchia africana lontanissima dal vaticano

 

«È stata una delle sue prime espressioni, che è diventata poi quasi un ritornello nei suoi messaggi, omelie e discorsi. La presi subito come un programma per la nostra piccola parrocchia di Catió, nel Sud della Guinea Bissau. La scrissi su un cartellone e la incollai sulla parete all’interno della chiesa. Nessuno la notò entrando e la Messa della domenica continuò come sempre fino al momento della benedizione finale. Fu in quel momento che chiesi a tutti i presenti di girarsi e di fissare la porta della chiesa. Il cartellone con la scritta “Uma Igreja em saida” – “Una Chiesa in uscita” – si trovava proprio là sopra. Così siamo entrati nel pontificato di Papa Francesco, io da giovane parroco e la piccola comunità di Catió, una “periferia” del mondo per dirla con lui. Ed è proprio da qui che quelle parole sembrano avere una luce speciale». 

Comincia così il racconto di padre Fabio Motta, missionario del Pime in Guinea Biassau e superiore regionale del Pime per questo Paese, sui cinque anni di Pontificato di papa Francesco che si compiono in questi giorni. Una testimonianza lontana dalle analisi a tavolino, ma frutto della vita dentro quelle periferie a cui con il suo magistero Bergoglio non si stanca di chiamare.

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Nelle stesse pagine compare anche questa intervista a padre Diego Fares, gesuita argentino oggi scrittore di Civiltà Cattolica, che papa Francesco lo conosce da più di quarant’anni e che a Mondo e Missione spiega: ««Dobbiamo ancora capire davvero cosa ci sta dicendo sui poveri come via per incontrare Cristo»

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