«Il calvario della mia Alzano, visto dall’altra parte del mondo»

«Il calvario della mia Alzano, visto dall’altra parte del mondo»

Padre Giorgio Licini, missionario del Pime in Papua Nuova Guinea, è originario di Alzano Lombardo, uno dei comuni della provincia di Bergamo più colpiti dal Coronavirus. Il suo racconto della propria comunità e di ciò che stanno dicendo a tutti questi giorni terribili

 

Alzano Lombardo, all’imbocco della Valseriana, una cittadina divisa da Bergamo solo da una striscia di terra occupata dai comuni di Ranica e Torre Boldone; dal dopoguerra ormai un solo agglomerato urbano con il capoluogo di provincia e i paesi più a monte, Nembro, Albino, Gazzaniga, tutta l’antica filiera del tessile ora chiuso ed emigrato in Asia. Alzano Lombardo capitale del cemento e della carta nel secolo scorso. Migliaia di posti di lavoro; inevitabilmente anche migliaia di morti per tumore. Gente schiva, laboriosa, tenace e un po’ rassegnata, più attaccata al datore di lavoro che alla politica. Terra prima democristiana, poi inevitabilmente leghista e forzista, ma con la stessa ispirazione popolare, moderata e pacifica, senza eccessi. Alzano Lombardo la città in cui quasi tutti noi in Valseriana risultiamo essere nati. Così all’anagrafe. E così a causa dell’ospedale Pesenti-Fenaroli, che accoglie le puerpere del circondario da quando (a malapena ottant’anni) i bambini non nascono più in casa o nel tepore delle stalle.

Fa male sapere che il coronavirus ha colpito duro proprio li, in quelle stanze d’ospedale in cui siamo nati, dove poi siamo stati curati, abbiamo accompagnato i nostri nonni e genitori negli ultimi giorni terreni. L’ospedale Pesenti-Fenaroli di Alzano è sempre stato per la Valseriana un’assicurazione sulla vita. Ha aiutato almeno due generazioni prima di noi a diventare vecchi e tornare in famiglia tante volte quando la speranza sembrava perduta.

Ora Alzano e tutti i comuni attorno a Bergamo perdono decine di nonni ogni giorno. Il lamento straziante e composto di figli e nipoti giunge ai familiari e ai concittadini lontani e impotenti in modo istantaneo. La rete ci unisce e favorisce il contatto, la preoccupazione reciproca, la solidarietà e la preghiera. Il virus è arrivato subdolo e assassino in una stagione in cui gli anziani stanno in casa o si avventurano solo in chiesa e al bar più vicino; e anche i più giovani, che escono per andare a scuola o al lavoro, ritornano al più presto intirizziti e confortati al calore della famiglia.

Immagino le strade deserte di Alzano e della frazioni, l’apprensione nelle famiglie, il chiedere sommesso delle condizioni dell’uno o dell’altro, il dolore profondo di non vederli morire, di non poter piangere e pregare sulla salma, di rinunciare a quel mesto rito della sepoltura, con il tipico suono delle campane a morto, senza il quale per la nostra gente il commiato non è completo; e di accettare una morte che per il coronavirus appare in ogni caso ingiusta e prematura.

I numeri crescono. Il contagio si allarga. Si parla apertamente di “guerra” ad un nemico invisibile. In realtà la scienza lo vede benissimo. Ma è una nuova “guerra” mondiale prima combattuta dalla Cina e ora da tutti. È una guerra diversa. Per fortuna. Quella tradizionale divide e contrappone. Questa unisce ed esige la caduta delle barriere in favore della massima collaborazione. È combattuta però casa per casa. E soprattutto negli ospedali, nelle farmacie e nei supermercati almeno per sopravvivere, nelle sedi di governo e nei comuni. Non è solo una questione di leggi e divieti. Scendono nell’agone il senso di responsabilità personale e istituzionale, la solidarietà tra esseri umani, il sacrificio della vita. «Un forte abbraccio lo mando alle persone malate o a coloro che sono in apprensione per i propri cari o che purtroppo hanno subito lutti», ha scritto sabato sera il sindaco di Alzano Lombardo, Camillo Bertoccchi, certamente uno dei più appassionati e dedicati amministratori lombardi, da ben prima del coronavirus vicinissimo alla sua gente. Sabato deve essere stata una giornata drammatica per la popolazione e le istituzioni.

Ora che in Italia è tutto chiuso, non sarà male prendere coscienza del fatto che questo è l’anno più brutto dal 1944; non così brutto, perché a quel tempo era la coscienza ad essere malata e causa di morte soprattutto per i giovani; ma è brutto lo stesso, per coloro che si ammalano nel fisico e muoiono, e perché le vite e i successi di 75 anni di libertà, lavoro e benessere potrebbero essere spazzati via in pochi mesi. Una domanda: la tragedia del coronavirus potrebbe chiudere la stagione delle chiacchiere e della falsa politica, dei talk-show che si alimentano della finzione, della contesa tra destra e sinistra sulle poltrone e il controllo del potere? Comincerà invece il dibattito a svilupparsi attorno alle migliori idee ed iniziative per la creazione di lavoro, la difesa dell’ambiente, la promozione dei valori sociali e spirituali che garantiscono la vita civile? Speriamo. Perché se così non fosse, ci vorrà del tempo anche prima che il nostro piccolo ospedale ad Alzano Lombardo sia di nuovo il luogo in cui nascono i bambini, e gli anziani strappano alla sorte un insperato supplemento di vita.