Sierra Leone, l’esperienza di Ebola ha aiutato a contenere il Covid

Sierra Leone, l’esperienza di Ebola ha aiutato a contenere il Covid

Pochissimi contagi e decessi da Coronavirus nel Paese africano. Padre Peter Konteh, direttore della Caritas di Freetown: “La gente ha ancora nella memoria i morti dell’altro virus”. Ma la campagna vaccinale va a rilento per gli squilibri nella distribuzione delle dosi: immunizzato solo lo 0,5% della popolazione

 

Può un’epidemia come Ebola, che ha mietuto più di 11mila vittime, aver lasciato nel suo doloroso passaggio anche qualcosa di positivo? La risposta prova a fornirla padre Peter Konteh, direttore della Caritas diocesana di Freetown, capitale della Sierra Leone, che in un’intervista al sito di Aid to the Church in Need, ha affermato come l’esperienza accumulata con Ebola sia stata decisiva per contenere nel Paese la pandemia da Covid-19. “Con Ebola fu molto difficile sensibilizzare la popolazione poiché molti non credevano nell’esistenza del virus e sono morti non rispettando le misure di sicurezza – ha dichiarato il religioso -. Con il Coronavirus le cose sono andate diversamente: le persone hanno seguito le indicazioni in merito al distanziamento sociale e all’utilizzo delle mascherine proprio perché avevano ancora fresche nella memoria le tragiche immagini di Ebola”.

‘L’esperienza è la più grande delle maestre’ recita un antico proverbio. Per la Sierra Leone questo è stato più che mai vero: ufficialmente sono solo 121 i decessi nel Paese africano dall’inizio della pandemia legati al virus; nulla se confrontati con i numeri drammatici di Ebola. Tra il 2014 e il 2016 i morti sfiorarono addirittura quota 3.600 facendo della Sierra Leone uno degli epicentri dell’epidemia. “Abbiamo visto morire tantissime persone care – ricorda padre Konteh -. Non potrò mai dimenticare una famiglia composta da 27 persone: tutti morti nel giro di pochissimo tempo dopo che uno di loro contrasse il virus”. Anche se il momento peggiore per il sacerdote fu quando si ammalò uno dei catechisti della comunità: “Andammo fuori casa sua per accertarci della situazione – racconta -. Ci accolse la figlioletta di 8 anni che ci disse: ‘Mamma e papà dormono’. Volevo andare ad abbracciarla ma sapevo quanto fosse tremendamente contagioso il virus. Chiamammo un’ambulanza ma non ci fu nulla da fare, erano già morti. Ho ancora gli incubi ripensando a quel giorno”.

Sebbene il Coronavirus non sia stato altrettanto mortale, anche grazie all’esemplare comportamento della popolazione che ne ha quasi azzerato la letalità, oggi la Sierra Leone (così come molti altri Paesi africani) ha bisogno di vaccini per immunizzare i suoi 7,8 milioni di abitanti. Soltanto lo 0,5% della popolazione è stata immunizzata con la doppia dose e urge un rapido cambio di marcia. Nelle scorse settimane, grazie alle donazioni del governo degli Stati Uniti e di un accordo bilaterale con il governo cinese, sono arrivate in Sierra Leone centinaia di migliaia di dosi (AstraZeneca, Pfizer e Sinopharm), ma potrebbero non essere sufficienti, come sottolinea padre Konteh: “C’è stata una grande disuguaglianza nella risposta globale a questa pandemia. I vaccini sono stati distribuiti fin da subito ai Paesi ricchi, lasciando i più poveri in balia del virus”.

Un disinteresse verso le regioni più povere del mondo che si registrò anche durante l’epidemia di Ebola: “C’è stata una risposta velocissima alla necessità di un vaccino per contrastare il Covid-19 – ha rilevato il sacerdote -. Il mondo scientifico si è mosso subito e in poco tempo sono stati prodotti e distribuiti diversi vaccini. Questa celerità non ci fu per Ebola e credo che questo sia dovuto al fatto che interessava solo una particolare area del mondo, la nostra”.