Pacifico agitato

Forti tensioni e giochi di potere tra Cina, Occidente e Australia attraversano l’Oceano Pacifico. E le Isole Salomone sono al centro di molti interessi
Le Isole Salomone non ci stanno a essere considerate il “cortile di casa” dell’Australia. E anche se è diminuita la tensione tra le capitali dei due Paesi dell’Oceania, continuano quelle più o meno sotterranee, legate anche agli interessi che Cina e Occidente hanno nel Pacifico. Nel frattempo, però, a Canberra, nel 2022, si sono insediati i laburisti del primo ministro Anthony Albanese, mentre a Honiara, 1.600 chilometri a Nord-est, il battagliero e controverso premier Manasseh Sogavare, uscito peggio del previsto dalle elezioni di aprile 2024, ha dovuto cedere la poltrona all’ex ministro degli Esteri Jeremiah Manele.
Le scelte di fondo, però, non cambiano. Il patto di sicurezza firmato dalle Isole Salomone con la Cina nel 2022 rimane. E segreti continuano a essere i contenuti dell’accordo. Con il sospetto diffuso che consenta a un certo punto a Pechino di stabilire una presenza militare nel bel mezzo del Pacifico. Manele, tuttavia, non è incline come Sogavare alla retorica bellicosa allora generosamente ricambiata dal liberale Scott Morrison a Canberra fino alla sconfitta elettorale. La fine delle tensioni manifeste non ha, tuttavia, ridotto l’intensità del lavoro, in gran parte sotterraneo, che la Cina e l’Occidente portano avanti per una specie di occupazione preventiva dell’immensa area dell’Oceano Pacifico. La Cina – salvo la secolare presenza di migliaia di commercianti e uomini d’affari – si è affacciata sull’area solo negli ultimi decenni. Gli Stati Uniti vi hanno lasciato l’impronta con le battaglie decisive della Seconda guerra mondiale contro i giapponesi. L’Inghilterra è stata la potenza coloniale fino a mezzo secolo fa, disimpegnandosi poi dal punto di vista militare e in gran parte anche diplomatico. Ma ora Pechino è arrivata a movimentare la scena, rendendosi ben visibile ovunque con varie forme di collaborazione allo sviluppo – e in alcuni casi alla sicurezza – a Fiji, Kiribati, Vanuatu oltre appunto alle Isole Salomone.
Proprio su queste ultime è stata più facile e profonda la penetrazione cinese, a causa della tradizionale instabilità etnica e politica del Paese. Manasseh Sogavare – come già detto di temperamento polemico e ostile all’Australia e all’Occidente – con l’allora ministro degli Esteri Jeremiah Manele aveva formalmente riconosciuto nel 2019 la Cina Popolare, abbandonando Taiwan, che ha dovuto chiudere la sua rappresentanza diplomatica. La bussola di orientamento era stata riassunta nello slogan “Look North” – “Guardiamo a Nord” – invece che solo a Sud (Australia e Nuova Zelanda), diversificando i partner e mettendoli in concorrenza, con l’idea di guadagnarci. E la Cina non ha lesinato contributi alle infrastrutture pubbliche (e alle tasche private, dicono in molti) soprattutto con il sostegno ai Giochi del Pacifico a Honiara nel 2023 e il nuovo grande stadio cittadino.
Il passaggio da Taiwan a Pechino, tuttavia, non è stato indolore. Ha riacceso l’ancestrale rivalità tra l’Isola di Malaita, molto amica di Taipei – e dove vivono o di cui sono originari un terzo dei circa 750 mila abitanti dell’arcipelago – e il resto del Paese, in particolare l’isola di Guadalcanal con la capitale Honiara. Al rifiuto del primo ministro Manasseh Sogavare di dimettersi sulla questione della Cina, al termine di una marcia sul Parlamento nel novembre 2021, i manifestanti hanno dato fuoco al quartiere cinese (Chinatown), costringendo il governo a chiedere l’aiuto urgente di reparti di polizia da Australia, Papua Nuova Guinea e Fiji. La Regional Assistance Mission to Solomon Islands (Ramsi) era stata smantellata solo nel 2017 dopo quasi due decenni di operatività nel Paese in seguito a scontri etnici ancora più intensi tra le medesime fazioni. La tensione tra il governo nazionale e quello provinciale di Auki a Malaita permane e appare difficile da risolvere.
È invece facile immaginare che la presenza di crescenti comunità cinesi sui piccoli Stati del Pacifico e la preoccupazione, anche sincera, per la loro sicurezza offra a Pechino un’opportunità e un pretesto ideale per stabilire patti di sicurezza non direttamente militari ma comunque armati. Non si parla di esercito ma di polizia. Tanto più se, come a Honiara nel novembre 2021, il quartiere cinese finisce sotto attacco con perdite umane e commerciali. Oggi però non sono solo i poliziotti australiani e del Pacifico a sostenere, integrare e addestrare la controparte delle Isole Salomone, ma anche quelli cinesi, con il protocollo di intesa segreto del 2022 che potrebbe contenere di più e lascia aperte le porte a ogni sospetto.
Il contesto è quello di un arcipelago di oltre 900 isole, di cui solo sei di grandezza considerevole, divenuto completamente indipendente dall’Inghilterra solo dal 1978 e tuttora parte del Commonwealth. Pur non essendo esattamente uno Stato fallito, resta una nazione sostanzialmente incompiuta. Contrariamente alla vicina Papua Nuova Guinea, molto più grande ed etnicamente più variegata, le Salomone non sono ancora riuscite ad armonizzare in un ordinato sistema politico nazionale le componenti isolane più significative. Hanno rinunciato da sempre a un esercito nazionale, affidando a poche centinaia di poliziotti ogni forma di sicurezza interna e protezione nazionale. Ma da trent’anni ormai necessitano di aiuto esterno per lo stesso scopo.
L’Occidente sta in gran parte recuperando lo svantaggio accumulato con l’assenza dalla scena del Pacifico dal periodo postbellico e conseguente contropiede cinese. Gli Usa hanno riaperto solo recentemente l’ambasciata di Honiara chiusa nel 1993. Il Paese fu uno dei più colpiti durante la Seconda guerra mondiale ed è palpabile il timore di subire la stessa sorte nel caso di uno nuovo conflitto planetario questa volta tra Cina e Stati Uniti, di cui il Pacifico sarebbe inevitabilmente il teatro principale.
La popolazione, dal canto suo, chiede non solo pace e stabilità, ma anche radicali miglioramenti alle infrastrutture, specialmente per le comunicazioni di terra e di mare, per potersi muovere e vendere o esportare i propri prodotti. Almeno il 75% degli abitanti vive ancora di agricoltura di sussistenza per lo più in villaggi molto remoti e in isole distanti anche centinaia di chilometri da Honiara. Laggiù, però, non arrivano né la Cina né gli altri, perché quello che conta è essere presenti e farsi notare in prossimità dei centri di potere e di controllo degli snodi cruciali del Paese.
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