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Icona decorativaIcona decorativa23 Giugno 2025 Redazione

Cardinale di Teheran: «Temiamo il peggio»

Il susseguirsi di attacchi e contrattacchi «fa temere il peggio, portando a credere che non ci siano più limiti, che tutto sia possibile e giustificabile». Il cardinale Dominique Joseph Mathieu, arcivescovo di Teheran-Ispahan dei latini, condivide con AsiaNews il secondo testo del suo “diario di guerra” dopo l’attacco di Israele all’Iran e i bombardamenti americani

Di seguito, la riflessione del cardinale Mathieu, arcivescovo di Teheran-Ispahan dei latini, inviata ad AsiaNews:

Undicesimo giorno della guerra. Prima dell’alba, si è svegliati dal rumore assordante degli aerei da combattimento e dei droni che sganciano le loro bombe, e dalle raffiche sbalorditive della difesa aerea che ingaggia l’intercettamento. Ci si abitua a riprendere sonno, senza riuscire davvero a riposare.

Il primo gesto dopo essersi alzati è salire sulla terrazza del tetto per scrutare i fuochi di fumo, che indicano i luoghi bombardati. L’altro rito è sbloccare la porta d’ingresso e dare un’occhiata alla strada, vuota di macchine e persone da un capo all’altro, tranne un gatto emaciato in cerca di tenerezza e di un boccone.

La maggior parte dei negozi e chiusa, tranne alcuni alimentari e panettieri dove approvvigionarsi a prezzi che aumentano di giorno in giorno.

Le giornate non sono più scandite come prima. Lunghi silenzi, in cui il minimo rumore suscita la paura di un nuovo attacco, interrogano le menti sul momento di intraprendere qualcosa o meno.

Nelle menti si è preoccupati, come i discepoli a bordo della barca con Gesù addormentato, che lottano in mezzo alla tempesta contro l’acqua che minaccia di farli affondare. Ci si chiede perché Gesù sembri assente, soprattutto ora che gli elementi si scatenano. E alla fine si finisce per scuoterlo per svegliarlo, affinché faccia qualcosa. Nella barca, che è la Chiesa, ci ricorda che è presente. Esporre il suo corpo eucaristico sotto il fragore delle salve di colpi, ristabilisce il silenzio nella mente e manifesta che, anche se il mare è agitato, lui è a bordo e placa la tempesta.

Il Signore è l’unica connessione stabile, che bisogna alimentare con la preghiera, per non soccombere alle seduzioni del male, che inonda la linea di paure e preoccupazioni e fa affondare. I discepoli non dicevano forse: «Maestro, non t’importa che periamo?» (Marco 4,38). 

La surreale escalation di attacchi e contrattacchi, assistita da alleati per gli uni e complici per gli altri, su siti estremamente sensibili, fa temere il peggio, portando a credere che non ci siano più limiti, che tutto sia possibile e giustificabile, come «ottenere la pace con la guerra». La pace, però, non significa ridurre al silenzio per paura. La pace si ottiene attraverso la risoluzione pacifica dei conflitti, lavorando per la giustizia, la riconciliazione e la dignità umana. 

«Beati quelli che procurano la pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Matteo 5,9). La pace è un frutto dell’amore e della misericordia. Per risolvere i conflitti e promuovere la pace, bisogna percorrere la via della non-violenza e del dialogo. Abbiamo fede in Gesù, che rimprovera il vento e le onde, che si placano, ristabilendo la calma? (Luca 8,22-25). Per questo Papa Leone XIV invoca la pace – la calma e l’ordine -, chiedendo: «Che la diplomazia faccia tacere le armi!». 

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