Nomadi sempre

L’uomo fin dalle origini è stato un migrante bisognoso di ospitalità, ma anche un padrone di casa capace di accogliere. Solo di recente la nostra società ha chiuso le porte, spiega l’antropologo Marco Aime

 

Le guerre si somigliano. Segnano solchi, lasciano ferite, aprono strade per fuggire. Le guerre danno il via a un esodo, una ricerca di un altrove sgombro di odio. Così, alle nostre coste, approdano maree di uomini in viaggio che portano con sé quello che sono riusciti a salvare da povertà, conflitti e persecuzione. La speranza accomuna queste storie di cronaca odierna a cui ormai siamo abituati. Sono, infatti, immagini ormai conosciute quelle dei drammatici sbarchi di stranieri sulle nostre spiagge. Immagini che ci portano a pensare che l’immigrazione sia rappresentata unicamente da quei volti disperati di donne, uomini e bambini disposti a tutto pur di raggiungere la terraferma.

Ma l’immigrazione non termina a riva. Il concetto di “migrazione” non racchiude solo la partenza e l’approdo. È realtà di tutti coloro che si destreggiano tra permessi di soggiorno e carte bollate, che abitano e vivono le nostre città da stranieri, che cercano un lavoro che permetta loro di sostenere la propria famiglia lontana. Dunque immigrazione è per prima cosa accoglienza.

Oggi il nostro Paese ospita più di cinque milioni di immigrati e l’avvento di una società che parla diverse lingue, professa molteplici religioni e intreccia usi e costumi differenti è diventato una realtà quotidiana. L’essere immersi in un panorama così variegato impone a tutti i cittadini, sia italiani che stranieri, una nuova presa di coscienza che, tramite gli opportuni cambiamenti, può far scaturire una convivenza ricca e stimolante.

Marco Aime, responsabile del corso di Antropologia culturale all’Università di Genova e consulente al programma del festival antropologico di Pistoia, “Dialoghi sull’uomo” (vedi box), da decenni si occupa proprio di nuove migrazioni e accettazione dello straniero.

«Oggi non possiamo fare a meno della parola accoglienza. È una prerogativa, un impegno ma anche un nodo denso di contraddizioni che la società attuale deve sciogliere». Precisa Aime: «Davanti allo straniero possiamo avere due reazioni opposte: rifiuto o accoglienza. Lo si può interpretare come invasore o ospite. C’è chi cresce rimanendo attaccato a una sola visione del mondo, chiusa tra consuetudine e rifiuto, ritenendola l’unica buona e difendendola a priori. Poi c’è chi cerca di guardare il mondo nella sua interezza, trovando ricchezza nel confrontarsi con stili di vita e di pensiero differenti, non eliminando la fatica dell’incontro ma facendola maturare in possibilità. Proprio per questo l’accoglienza è oggi la sola via possibile».

Una via che in passato siamo stati capaci di percorre in modo sicuro, e di questo Aime è convinto: «Basti pensare agli usci aperti delle nostre case di montagna, ai pasti condivisi ai tempi della guerra e alle tradizioni di incontro e scambio del mondo contadino».

Un passato ricco di cui però abbiamo perso la memoria. E i ricordi sbiadiscono anche nel momento in cui si torna agli inizi del Novecento, quando ad attraversare il mare erano i nostri nonni o bisnonni. «È nostro dovere riscoprire una storia d’Italia piena di fatti, documenti e storie ignote che compongono l’altra faccia della grande emigrazione nazionale dovuta alla guerra o alla fame. Quella che meglio dovremmo conoscere proprio per capire e apprezzare ancora di più il nostro passato fatto di rinunce e conquiste. Quella che abbiamo rimosso perché ora siamo dall’altra parte del mare. Quella che potrebbe insegnarci ad accogliere i migranti di oggi», conclude Aime.

Impigriti dal benessere ma destabilizzati dalla crisi economica, poveri di legami relazionali ma iperconnessi, rassicurati dalle nostre posizioni ma alla ricerca di novità, siamo immobilizzati da una paura costante che ci porta a guardare allo straniero con sospetto. Eppure, come ogni Paese, anche il nostro è stato casa per molti. «Ogni luogo ha il proprio modo di accogliere gli ospiti e di dare un benvenuto unico e particolare. L’Italia in passato ne è stata capace e oggi dovrebbe imparare da semplici esempi che si attuano oltre i suoi confini. Nelle case del Sahel, per esempio, c’è sempre un angolo pronto ad accogliere lo straniero. Un vaso pieno d’acqua e un luogo fresco per riposare anche nei meandri più assolati del deserto del Sahara».

La storia dell’uomo è fatta da migrazioni, il suo bisogno di accogliere ed essere accolto ha condotto la società per epoche e continuerà a farlo. Nostro compito è portare avanti una forma di accoglienza che sia vera e convinta: il dialogo con l’altro permette di affrontare i diversi punti di vista, anche i più inconciliabili. Per mezzo del confronto è possibile convincere o essere convinti, mai costringersi l’un l’altro. Si tratta quindi del tentativo di realizzare una società in cui le varie culture siano raccolte e si possano completare e influenzare scambievolmente, senza forzature o ingerenze. MM